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ANNOTAZIONI

A L

LIBRO TERZ O.

ODE I.

Di quest' oda potrebbesi dire altrettanto di quel, che si è detto della xvi del precedente libro; dissimile non essendone la severità de' concetti e la massima che vi si stabilisce di non esservi uom felice tra le dovizie el fasto, se l'animo non abbia puro e tranquillo. L'argomento è trattato con gravità di sentenze, qual forse più a sermone che ad ode si converrebbe. Lirica n'è bensì l'uscita da cui ; par si promettano maggiori cose e più nuove.

Odi profanum vulgus . . . favete linguis Musarum sacerdos canto carmina non prius audita. Fingiam che qui, già scostandosi i profani, rimangan gl'iniziati e'l coro, tutti in orecchi ad udire i nuovi promessi arcani. Vi dico io dunque (prosegue 'I poeta) che' re son tremendi a' popoli, Giove a' re. Gli uomini studiansi a distinguersi chi d'una, chi d' un' altra maniera : morte alfin coglie tutti. Mi rammeuto quel che aspettavami da tal esordio, sin da quando presi la prima volta a spiegarlo, e come da' seguenti versi freddo rimasi alquanto e deluso. Or l'impressione, allora ricevutane ne' mici più teneri anni, confesso non essermisi per progresso di tempo indebolita. Tanto apparecchio fa grandeggiar la locuzione, ma non mai l'argomento, e sempre più si conosce che la lirica delle rozze nazioni

non rende per sola energia di frasi altrettanta forza di sentimenti presso le culte, cui son comuni e notissime le cose altra volta misteriose ed ignote. (v. Proem.)

La lezione fassi alla gioventù romana, onde apprenda vana essere ed apparente ogn' ineguaglianza fra gli uomini, quando tutti alla general legge di morte inevitabilmente soggiacciono. Evvi 'l più ricco in poderi, il più possente per cariche, il più splendido per favore, per costumi, per fama: Aequa lege necessitas sortitur omnes. Ma se non dovea dir più che tanto, perchè cacciarne i profani ?

Districtus ensis etc. Questo fatto del siracusano Damocle è veramente toccato con poche e maestre pennellate. Cicerone cel rapporta nel v. delle Tuscul. 21.

Desiderantem quod satis est neque Tumultuosum sollicitat mare etc. Eccoci tornati a' precetti e alle lodi della moderazione e della frugalità, che testè nel libro secondo frequentissimi abbiamo incontrato. Aequam mentem ivi ha raccomandato a Dellio nella 1, a Licinio nella x, ad Irpino nell' xi, quasi recando se stesso ad esempio nella xvIII, ove chiamasi satis contentus unicis Sabinis. Troverem poco stante (od. 16) che sol felice è colui, cui Deus obtulit parca quod satis est manu. Così ancora nell'epist. 10 scrive ad Aristio Laetus sorte tua vives sapienter, Aristi, Nec me dimittes incastigatum, ubi plura Cogere quam satis est, ac non cessare videbor; e così nell' xI. scrive a Bullazio, Petimus bene vivere: quod petis hic est, Est Ulubris, animus si te non deficit aequus. Il satis in somma è la chiave del suo sistema.

Contracta pisces aequora sentiunt. Si restringono i mari e si estendono i vivai e le peschiere. Latius extenta visentur Lucrino stagna lacu, V. ann. od. 15 1. 2.

Post equitem sedet atra cura. La Cura nella xvi. 1. 1 non molla mai di tener dietro a' fuggenti cavalieri, non turmas equitum relinquit; qui poi gli raggiugne, e salta seco loro in groppa.

Quod si dolentem non phrygius lapis delinit. Anche Tibullo dicea

Quidve domus prodest phrygiis innixa columnis ? ORAZIO con un bel quod si, conclude dialetticamente il suo argomento di non dover ambire al di là della valle sabina, quod erat demonstrandum.

ODE II.

Chi avrebbe potuto aspettarsi dal veloci-pede tribuno di Filippi un' ode sul coraggio e l'educazion militare? E pure eccola.

Robustus acri militia puer condiscat. La voce puer adattavano i Romani anche oltre la fanciullezza, come qui appunto è da intendersi; giacchè il facere stipendia cominciava presso loro agli anni 17 per un novennio. Illum ex moenibus hosticis etc. Quest' immagine di donne d'alto affare, che da una piattaforma, da un veo da tal altro eminente sito si facessero a contemplar campi e rassegne, è già solenne presso tutti gli epici dall' Iliade sino all'Italiade dell' egregio sig. cav. Angelo Ricci, che sta sotto i torchi, e che farà conoscere più che ad altri, agli stessi Italiani

rone,

Che l'antico valor non è ancor spento.

Dulce et decorum est pro patria muri; Mors et fugacem persequitur virum. Quest' ode, di cui i dotti non sanno segnar la data, avrebbe dovuto precedere la VII. del secondo libro, O saepe mecum tempus in ul

timum. Provò egli di fatti in Filippi che Mercurio era lesto di gamba più della morte, nel voler salvare fugacem virum.

Virtus repulsae nescia sordidae. Repulsa e povertà erano тw xxxwv xaxıca presso i Romani. Maxima credunt Esse mala exiguum censum, turpemque repulsam (epist. 1. 1. 1.) Non qualunque occhio scorge chiaro abbastanza il nesso di questa seconda parte dell' ode con la prima, che per altro i contemplativi comentatori affermano evidentissimo, soggiugnendo che il poeta, dopo aver data la sua lezione di educazion fisica nelle prime quattro strofette, passa a quella della morale nelle altrettante, onde compiere il trattato. Beati loro, cui è dato tam cernere acutum! Sarebbe, ciò malgrado, più facile l'interpetrar questa sentenza secondo lo spirito della xvI. di Giuvenale. A chi ti dà una ripulsa, e tu, da buon militare, dà una buona rinfrescata su le spalle, et si pulsetur, dissimulet, nec

Audeat excussos Praetori ostendere dentes,

Et nigram in facie tumidis livoribus offam. Si noti l'intaminatis, parola tutta oraziana, salvo un' antica inscrizione, citata dal Forcellini.

Est et fideli tuta silentio merces. ORAZIO mostrasi iniziato ne' misteri eleusini. Chi sa se a talune di quelle antiche liturgie non facciano allusione gli ultimi versi di questo parenetico componimento, senza potersene da noi ben ripescar la finezza?

Diespiter neglectus. Offender gli dei è un disprezzargli, violandone i divieti. Quindi il negligis fraudem committere dell' ode 28 1. 1. intendesi anche colà per non curanza di commetter peccato, che dispiaccia alla divinità, e che ne solleciti la punizione.

Pede paena claudo. Sera tamen tacitis Paena venit pedibus. (Tib. 9 2). Iddio non paga il sabato.

ODE III.

Abbiamo in quest' ode uno de' più belli e magnifici componimenti, che vanti la lirica latina, e dirò ancora la lirica sublime in generale. L'argomento per altro è tale, che per volger di secoli difficilmente altro simile avvien che s' incontri. Temeasi forse in Augusto non estinta la paterna idea di trasferir in Troia la sede dell' Impero. Svetonio (in Iul. Caes. 79) attestaci che valida fama percrebuit migraturum Alexandriam vel Ilium, translatis simul opibus Imperii, exhaustaque delectibus Italia, et procuratione Vrbis amicis permissa. Era stata quell'antica città più volte e rifabbricata e distrutta; che anzi ne' tempi ad ORAZIO più vicini, Caio Fimbrio, luogotenente di Silla, l' avea smantellata, e' Romani riedificata l' aveano; e Cesare ed Ottaviano mandatevi colonie e arricchitala di privilegi. La rispettavan eglino altamente, perchè quindi la famiglia Giulia ostentavasi derivare ;

Iulius a magno demissum nomen Iulo. Più ancora che questo sentimento di vanità era possente il politico principio d' indebolirne le crescenti forze col dividerle e di reprimer così l'introdottovi spirito sedizioso, omai di troppo rischio a coloro, che vaghi di nuove cose, la repubblica a governarsi in principato volean condurre. Così solenne circostanza suggeri a FLACCO l'alto soggetto di sua canzone. Il fatal germe per altro di trasportar in quelle contrade il trono imperiale, che allora non provò, covava tuttavia nelle teste laureate

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