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Quam paene tua me perdidit protervitas! disse Terenzio (Phorm. 5). Torna ORAZIO al recente pericolo, mostrandosenei colpito, ma vi si ferma un momento ; ed eccolo subito a Saffo e ad Alceo. Vi si spazia, finge di smarrirsi, e conchiude.

Te sonantem plenius, Alcaee, plectro dura navis... fugae...belli mala. A lui par che non dispiaccia il rassomigliarsi ad Alceo, con cui per altro ebbe comuni non poche vicende. Ne ha parlato nell' od. 32 1. 1.

Densum humeris bibit aure vulgus. Così scintillano di tempo in tempo le bellezze originali dello stile e della locuzione del Venosino. Lymphae loquaces, aurikae quercus, medius liquor etc. Voci comunissime e forse triviali talora, dall' accozzamento, che ne fa il giudizioso suo ardire, ricevon luce e novità. Tantum series, iuncturaque pollet, Tantum de medio sumtis accedit honoris !

ODE XIV.

Le lezioni epicuree spesseggiano in questo libro. Divertiamoci e non ci lasciam burlar dalla morte, che non dà quartiere. Ecco a che riducesi quest' ode. Sive reges, sive inopes erimus coloni, che val quanto dire Divesne prisco natus ab Inacho, an pauper et infima de plebe, omnium versatur urna, aequa lege necessitas sortitur insignes et imos; mors aequo pulsat pede pauperum tabernas, regumque turres; aequa tellus pauperi recluditur, regumque pueris.

Illacrimabilem Plutona. Aristofane nella commedia, che intitolò Σs (le Vespe ) paragona i giudici d' Atene a quest' insetti, pronti a ferir sempre col loro pungolo; genia dura, iraconda, xamıns (illacrymabilis )

come Plutone. Di là io sospetterei che FLACCO così bell'epiteto avesse tratto.

Flumine languido Cocytus errans. Il flumen latino non risponde a fiume, ma dinota il corso dell'acqua; quantunque si usi talvolta come sinonimo di amnis, fluvius. In questo luogo bensì ritiene il suo natural significato, come in Virg. Rapidus montano flumine torrens (Aen. 2). Linquenda tellus ci fa ricordare del cedes coemptis saltibus della precedente ode 3.

Absumet heres caecuba dignior. Qui il dignior è adoperato secondo la sua legittima derivazione a dignoscendo, e così ci offre un di que' tratti, che la poetica oraziana locuzione distinguono. Certo che il successo

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il quale avendo del buon vino, ne gode, e lo bee ne sa conoscer l'uso assai meglio del testatore, che lasciavalo ozioso in cantina. Di ciò servesi il poecome d'argomento, onde confortar Postumo a spillar le sue botti, prima che il meglio avveduto erede ne faccia baldoria.

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ODE XV.

Dello sfoggiato lusso de' Romani nelle lor ville, del numero, che ne possedeano, della bizzarria nel preferire, o nel posporre or questa a quella, or quella ad un'altra contrada, ORAZIO stesso fa menzione nella prima delle sue epistole e con lui Sallustio, Seneca Svetonio, e Petronio sopra tutti nel Satirico:

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Expelluntur aquae saxis, mare nascitur arvis. Marisque Baiis obstrepentis urges Summovere littora, dice il nostro nella seg. od. 18 e indi a poco Contracta pisces aequora sentiunt, Iactis in altum molibus, nella prima

del lib. 3 L'ab. de Chaupy nella diffusa e dotta ope ra, che ha titolo Découverte de la Maison de Campagne d'Horace, sino a 21 afferma essere state le ville del solo Cicerone, che certamente non era nè un Lucullo nè un Crasso.

Otium

.Ó DE XVI,

tium bello furiosa Thrace. Vuolsi che l'aggiunto di furiosa alluda al costume dell'oste trace, i cui soldati usavano andare a campo tutti di neri sacchi coperti, a guisa di Furie. Sappiam da Plutarco che di cosi strano apparato ebbe dapprima a sbigottire lo stesso Nasica. Furiales è l'epiteto, che dà Livio a' sacerdoti toscani, che scompigliarono co' loro orribili visaggi le romane legioni (1. 7 11). V. Vann. t. 1. c. 20. Rapporta L. Floro che i Fiderati ad terrorem movendum, loribus serpentum in modum vittis furiali (alcuni leggono ferali) more processerant (lib. 1. c 12).

disco

Splendet in mensa tenui salinum. Il Vannetti (loc. cit.) con belle e dotte osservazioni dimostra che la saliera, per religioso costume, d'argento usavano i Romani, anche di povero stato, d' onde lo splendet.

Quid brevi fortes iaculamur aevo multa? cosi in quest' ode, Quid aeternis minorem Consiliis animum fatigas? così nell' undecima precedente. Bello quel saettar desideri e speranze al di là dell' angusta barriera, che l'uman vivere circoscrive! Quid ultra tendis? esclama nell' od. 18 seg. su lo stesso proposito.

Longa Tithonum minuit senectus. In un'ann. all'od. 28 del 1. 1 si è già accennato che ORAZIO credea Titono quasi dileguato per evaporazione, non già trasformato

in cicala. Era anche fra' biografi etnici diversità di opinioni nelle loro teogonie.

Afro murice tinctae Vestiunt lanae. Asan era detta questa sorta di porpora, perchè appunto tinta due volte. Muricibus tyriis iteratae vellera lanae incontreremo nella XII. degli Epodi. Il lusso e la gola par che abbiano sterminata questa specie di tirie conchiglie, celebri un tempo e per le tinte e per le cene.

O DE XVII.

Ah! te meae si partem animae rapit Maturior vis, quid moror altera, Nec carus aeque, nec superstes integer? Un puro sentimento di tenera amicizia è l'anima di questo componimento. Régnavi una confidente famigliarità, a cui abbandonandosi il poeta, fa scomparire la lunga distanza, che nell' ordine sociale da Mecenate lo dividea, ed il figliuol del liberto al rampollo degli antichi re toscani vediam pareggiarsi. Pareggiasi all'amico, ma destramente non tralascia di far conoscer che questo suo amico è Mecenate. Una delicatezza d'artifizio da non potersi ammirare abbastanza, a me sembra scorgervi. Il sublime poeta era insieme sagacissimo cortigiano. Io richiamo il lettore alle osservazioni, che sul bel principio del proemio ho toccate intorno a' tempi, in cui fioria questo lirico insigne. Due son quelle, che nella dipintura di quest'ode ci presentano, principali figure; ORAZIO e Mecenate. N'è questi il protagonista: vediamo intanto come il Poeta fa trionfare l'amico d' Augusto e suo, portando se stesso alquanto indietro con tinte deboli, e forti ombreggiature; e adoperando si ingegnosamente l'arte del chiaro

si

*

scuro, che tutta in Mecenate ne rifletta e si concentri la luce. Il praecedes, qui detto in tutt'altro senso, pare, a chi ben conosca le oraziane finezze, che preoccupar voglia insieme l'immaginativa de' suoi lettori all' argomento, che lor prepara; preoccupargli, dico, con vocaboli, che idee sveglino associate e subalterne all' oggetto.

Viensi all' oroscopo di questa coppia d' amici. Cessa qui FLACCO di far paralleli. Nomina si bene la sua stella maligna o che stata sia la Libra, o lo Scorpione, o il Capricorno: ma nomina egli forse egualmente quella di Mecenate? Guardasi ben dal farlo. Il sol profferirne il nome, o l'attribuirle influssi funesti, stato sarebbe d' augurio sinistro: ond'è che se ne disbriga con la breve frase: Vtrumque nostrum incredibili modo consentit astrum; e qui fa punto.

Mortal malattia opprime Mecenate; e chi accorre a salvarlo? non altri che il massimo Giove, re degli uomini, padre degli Dei. Piomba ad ORAZIO un troncon d'albero sul capo; e chi nel sottrae ? non altri che un picciol Fauno, che potremmo credere qualche contadinetto della sua villa. La guarigione dell' egregio personaggio fu, com' e' ricomparve in teatro, da tutto il popolo con mille viva e con lungo e strepitoso batter di mani festeggiata e applaudita (od. 20 l. 1), mentre del pericolo del poeta non altri che lo stesso poeta fa menzione in un' oda scrittane espressamente (XIII. di questo libro) e poi in questa e nella Iv. ed VIII. del terzo.

Dopo tratti cotanto ingegnosi di ben lumeggiata rassomiglianza, conchiude convenirsi al gran Ministro dedicar templi ed offerir vittime maggiori per la sanità

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