Nè l'atre idee cancella-d'Evio col buon liquore, O, se la sferzi garrula - lingua di zio, che rugge, Già l'anima le fugge. Tele e cestini addio! - Del sican Ebro il volto, Bellerofonte ad Ebro cede in equestre corso; Sbrancar, ferire esperto - i cervi ei sa di strale 1 O DE XIII. AD FONTEM BANDVSIAE. fons Bandusiae, splendidior vitro, Dulci digne mero, non sine floribus Cras donaberis hoedo Cui frons turgida cornibus Primis et venerem et proelia destinat Te flagrantis atrox hora Caniculae Nescit tangere: tu frigus amabile Fessis vomere tauris Pracbes, et pecori vago. Fies nobilium tu quoque fontium, Lymphae desiliunt tuae. ODE XIII. AL FONTE DI BANDUSIA. A te, cui l'acque splendono Più che cristallo o fonte Di Bandusia e di vin degno e di fiori, Capro io darò cui fendono Le corna or or la fronte, Che destinalo invano a pugne e amori; Poichè di sangue tingere ; Prole a lascivi armenti, Dovrà i gelidi rivi a te domane : Le sue non osa spingere In te saette ardenti, Quando più avvampa in cielo, il sirio cane. Grat' ombra a gregge erranti, E a buoi del vomer lassi Tu dai; tu ancor tra' fonti andrai famosi, Se l'elce avvien ch' io canti Che ombreggia i cavi sassi D'onde tuoi rivi sgorgan mormorosi. < ODE XIV. H modo dictus, o Plebs, ERCVLIS ritu, modo Morte venalem petiisse laurum, Vnico gaudens mulier marito Virginum matres, iuvenumque nuper Hic dies vere mihi festus atras I, pete unguentum, puer, et coronas, Fallere testa. Dic et argutae properet Neaerae Lenit albescens animos capillus Non (*) magni ODE XIV. CESARE, che s' udì, d' Ercole al pari La Aver compro .col sangue il lauro altero, Dal lito ibero. sposa, in lui sol lieta, ove già renda Di madri a verginelle e a giovinetti Questo per me verace di giocondo Sgombri le cure: non tumulto o fiera Vanne, e unguenti, o garzon, reca e corone, Che presta il mirreo crine in gruppo annodi, L'usciero, parti. Di fervid' alma un crin, che fassi bianco Nel consolato. |