Credi veder più d'un col nafo guafto, Chi manco un dente è chi l'orecchio mozzo Per avventarfi al nobile antipafto. Quì Diafimo tirò più d' un finghiozzo, Poi diffe: Sire, ho più d' un fecolare In cui col dono ancora il merto accozzo. Ser Bozio, che non fa, come fi fare
Ad arricchir, facendo il dottoraccio, S'è meffo a tentennar preffo un altare. Ei paroloni fuoi han tanto fpaccio,
Che feco ha di ragazzi una tregenda, E' cavalier, che affalteria un migliaccio. Se a quefti non fi dà, penfo che il prenda Semplicio, onor della Toscana lira I Che alle Mufe ne faccia una merenda. Ripigliò Santimbratta: oh questo tira Certe fue folenniffime fruftate >
Che più d'un fe ne duole e fi martira. Ed io, che a caccia vo di sberrettate
Con quattro Paternoftri, e che fu i Credi. Fondo il grado, l' onor, la dignitade,
Non penfo darlo a quefto pelapiedi,
Che, perchè egli è un orciuol di ranno caldo Sen va fuperbo e tu Fiorenza il vedi.
Che sì, che sì, che quel fuo audace, e baldo Cervello fi rannicchia, e che l' acumé
Si fpunterà, che già parea sì faldo? Rettoricuzzo fchiccherar prefume
Le carte intorno a' vizi, e un cieco intende Nelle tenebre altrui moftrare il lume ?
Pan per focaccia ben coftui vi rende, Rifpofe il Guafta, ben vi fta il dovere Se 'l nome voftro in fulle forche appende Voi, che quaffufo introducefte un fere, Che colto in chiaffo venne poi a dir Meffa, Potevi l'occhio a un letterato avere. Chioccino allor : Dite con più dimeffa Voce, e trattiam del grifo, e del porcile, E non di Mufe, o d' altra Pitonefla
Io che fon giunto a quefta età fenile,
So, che vuol dir poeta, e fo, che egli hanno Pazzo il cervel, ma bene il cor gentile. Donifi il tefchio orribile a Sermanno, Che arricchirà Firenze, e Forlimpopoli Colle barche d' aringhe, che verranno
Oh piaccia al ciel, ch' elle non dieno in fcopoli Che sì vedrem Camaldoli rinato
E in gozzoviglia quei noftr' unti popoli Sebben più d'un v'è, che 'l vorria fquartato, Ev'è più d' un, che apertamente il chiama Vifo di Luterano imbriacato.
Oh il gran misfatto, ch' egli è il tor la fama ! Io per me ftar vorrei piuttosto appresso
A chi col ferro il tradimento trama. Allor nel volto di più d' uno impreffo
Si vedde un non fo che, che parve dire : I Chioccino è un fanto e 'l buon Pandolfo ifteffo Perciò fatto più ardito ei diffe: Sire
Se alcun non merta l'orecchiuto ceffo, Ecco il prend' io, e già lo fo bollire. Son fupplicum Magifter, e non beffo
E fe punta di ftima ho in quefta fala, Con voftra buona grazia or or l' aggueffo; Bondeno in quefto col polmone efala,
E grida forte: Io fo che c'è un faggio · Incavernato là 'n via della Scala.
La rete la conobbe dallo ftaggio
Chioccino e fatto pur di nuovo innante : Ben c'è, diffe, di lui più dotto e maggio. Un furbo, un cerretano, un arrogante, Vifo di Farifeo, cera di boja
Pretende fare a' dotti il fopraftante? So ben, che afperfo d' Apollinea ploja. Il credon molti gonzi Oltramontani Quefto grafcin dell' erudite quoja E fai, fe menan tutti ambe le mani In dedicare a quefto librifmerda Fantoccerie de' lor cervelli strani. So ben anch' io, s' egli ha rubato il Cerda Al Pontano il Comento; io gli ho ftudiati, E fo come un autor l'altro difperda
I Costui morì nell' Inquifizione.
Badi egli dunque ad uccellare a' frati Ch' han fede in lui; io non lo ftimo degno, Se non d'efti orecchiont attorcigliati. Qui le parole, e quì crefcea lo fdegno, Se non che gli occhi ftralunò il padrone E tenne quegli fcimuniti a fegno E della gran confulta in conclufione Neffun parer gli diede nell' umore Benchè portato con un bel fermone Non prete, non poeta, non dottore Non fenator gli piacque, o barbandrocco; Ond' egli allor gridò, meffo in furore: Diafi a colui, che al cul mi dà 'l merdocco
Uanto meglio faria tele di ragno
Veder pe' templi, e 'n fu gli altari, e i fuoi Miniftri puri, e di migliore entragno
Tanta feccia non han gli fcolatoi
D'ogni più immonda, e fetida cloaca, Quanta, o buon Giove, efti fodali tuoi. Tira pur fu quel fumo, e la triaca
Di noftre colpe entro a quel vino ingozza E dimmi poi, come il tuo cuor fi placa O pur ti fenti amareggiar la ftrozza,
Come fe deffi verbigrazia un tuffo
In una d' aloè piena tinozza .
Fa' lor, Padre del ciel, qualche rabbuffo,! E moftra, che febben gli hanno la chierca, Tu pur gli fai arroncigliar pel ciuffo . Vedi, come più d'uno e cambia, e merca, Per poi di Pietro in fulla facra tomba Comprar quel grado, che tant' anni er cerca.
I Satira tolta dal Dialogo d' Erafmo intitolato Funus.
Al gelido Trion quindi rimbomba L'orribil fuon, che l' erefia rinfranca, Che i benefizj vendonfi alla tromba. E in quefta ierarchia ancor non manca Più d'un prete minor, che quel fentiero Segue, che fuo maggiore apre, e fpalanca. E nel tonduto incamiciato clero
Ben veder puoi chi con berretta a fpicchi Già fiede all' altrui defco, e fquarta il zero. E voglion poi, che il popol fi rannicchi
In baciar lor le fimbrie; ed effi fanno Per lor viltade, ch' e' s' indugi, e nicchi E qual di vai nobil concetto avranno, Se non i fette differrar figilli, Ma vi vedon trattar filato e panno ? Che temete, che fuor non izampilli
Velen dalle Scritture e che 'l cerebro Per lo troppo ftudiar non fi diftilli ? Elia, che giacque già fotto 'l ginebro, Se non leffe papiro, o pergamena, Al certo in Dio fu tutto afforto Ma voi vi ftate in fu deferta arena, Come leon, che fuor della fpelonca Il pafto attende, o qual rabbiosa iena. Quando Sennuccio non aveva tronca
La fpeme d' effer Vefco, a fare il gruzzolo Anch' ei la mano già non ebbe monca.
Ma gli diero un cappel fenza cocuzzolo In vece della mitra, e tal fu giorno,
Ch' ebbe alle tempie troppo amaro fpruzzolo . Che quelle letterin, che fer ritorno
Dov' egli imprefe a dir: ruba fratello Gli fecero alla chierca un brutto fcorno.
Ma ciò che importa? il dottorale anello Ei porta almeno in dito, e puote anch' effo Tirare innanzi qualche mignoncello. Peggio fa Burro; il debbo dir? s'è meffo A pifciar nel cortile 2. Oh gente fanta, Che non pifcia ì dove vede impreffo
I Contra i preti, che fanno i procuratori, e il maestro di
Segno di Croce; e di che più fi vanta
Il Comunelli ecco ch' egli ha un conforte, Che con effo altro Kirie intuona e canta.c Se ciò fa Burro, e qual farà, che apporte Vergogna a' preti e 'l tavoliere, e 'l dado O d'altra in giuoco temeraria forte? Ecco che da' decreti efpungo, e rado:
Non può un prete giuocar; non puote? come? Se quefto aperfe anco al Papato il grado ? O col belletto, o colle tinte chiome
Donna veduta già dal Vangelista,
Io non fo chi tu fii, dimmi il tuo nome . Al puro argento troppa alchimia è mista, E la colomba dalle bianche penne Del mutato color troppo m' attrista Or fentì, come fempre fi mantenne
L'avarizia di quei, che al fuol le poltre S' infranfe allor, che di volar foftenne. Morto era Orfatto; or vuoi faper più oltre? Iftoria miferabile, ma vera;
Per lui non si trovò bara nè coltre; Che sì pover morìo, che a far lumiera Di quel fuo corpo al livido carname Non fu chi deffe un moccolin di cera; E fi pensò di darlo per litame
Ad un pianton di fico, o alle funefte Gole de' nibbi a fatollar la fame.
Oh de' Filippi venerande tefte !
Se di voi piena aveva la fcarfella
Non mancava gualdrappa, o nera vefte.
O almen data gli avrian la tonacella
Nè moftrerebbe i fudici ginocchi,
Nè il folto bofco, e l' una, e l'altra afcella. Vo' tu fortuna, ch' alla fin mi tocchi
Un po' di cimitero ? oh dammi almeno Tanto, che dopo me qualcuno fcrocchi. Perchè altrimenti jo mi. ftarò al fereno, Benchè la nobil fronte abbia coperto D' alloro, o pur dell' Apollineo fieno.
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