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Tutto cofparfa, ed appianata e larga;
Ma che a fervir conduce: e l'altra ha mille
Inciampi e spine, tortuofa ed afpra,
Piena d'orror; ma che conduce al regno.
Tu qual ti piace eleggi e non ti cada
Unqua in penfier, che libertà non fia
Nell' umano operare. Alto la mente
Solleva e vedi, che fe forza in noi,
Opur neceffitate imperio avelle,
Quegli del mondo regnator fovrano,
Dalla ftellata fede, ov' egli affifo
Con ciglio offervator fopra l' umane
Cofe prende a mirar, di pene e premj
Potría ben dirfi largitore ingiusto.
E fe noftro non fuffe, o buono o reo
Farfi coll' opre; ed a che prò per noi
Tante fpargere il cielo amiche voci,
Ond' ei cortese a se n' invita e chiama?
A che voler quaggiufo altare e tempio,
E vittima incruenta, e facerdoti,
Di cafte bende e di tiára adorni?
Se dunque ei ti configlia, e ti prepara
I mezzi, per placar l'ira e lo fdegno
Di fua giustizia; in te medefmo è posto
Quel che schivar, quel che fuggir tu deggia
A te convien, come guerriero in campo,
Scender contro del vizio: a te l'orecchia
Chiudere alle fallaci empie Sirene :
Ed a te, contro i fortunofi eventi,
Serbare un cuor magnanimo ed invitto,

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Ma pria che a tanto il tuo valor s'accinga,
Vanne all'alta Regina, il di cui feggio
Locato è nella mente: a lei ti proltra,
Con lei favella, ed i fuoi cenni offerva,
Qual vaffallo fedel, che al fuo fignore
Piacere aggrada, e d' ogni picciol fegno
Ne fa legge a fe fteffo: e mille e mille
Ali vorrebbe al piede, ali alla mano,
Per feguir pronto, ed operar veloce;
Che noftro è l' ubbidire, allorchè buono
Effer vedi il comando: ed anco a queito
Aggiunger dee la tua prudenza e 'l fenno
Di non oprar nè più nè men di quello,
Che fembra, ed è della giustizia il peso;
Perchè altrimenti avvi chi il buon configlio
Perverte sì, che le fallaci forme,
Infidiatrici delle menti umane,

Fan, ch' altri il meglio veda, e fegua il peggio.
Oh qual fplendea fovra il paterno foglio
Del buon Davitte il fucceffor famofo!
Più della gloria fua, più del fuo regno,
Di genti, e d'armi, e di grand' or poffente,
Maraviglioso a' popoli lo refe

L'alto intelletto; onde difciorre i nodi
Ei fol potea delle question profonde :
Ed in quefto ammirabile volume
Dell' univerfo ei fu, che aperto vide
L'alte cagioni all' umil volgo ignote.
Oh lui felice! che tant' alto afcefe,
Non già per dialettico argomento,

Ch'

Ch'altrui trar certo il confeguenté insegni:
Non le rette formando e oblique lifte,
Od altre Pittagoriche figure;

Che d'uopo a lui, per difcoprire il vero,
Non fu di lunga efperienza ed arte:
Non le fibre tentar, non delle vene
Spiar gli ufi e gli ufficj, e i varj effetti
Onde natura in tante fpecie e tante
E diverfa in diverfe, ed una in tutte.
Nè fol di quanto a contemplar s'affiffa
Noftro intelletto, i chiufi arcani intese;
Ma dalle più fublimi alle tra noi
Cofe, ridotte all' efercizio e all' ufo,
Quafi di grado in grado difcendendo,
Ei vide quel che poffa Amore et Odio
Ne' popoli foggetti: e ciò che fcioglie,
O l'alme avvince in fanto nodo: e seppe
Tutte del comandar le nobil' arti;
Perocchè in lui d'alto s' infuse un puro
Celeste lume, e gl' illuftrò la mente:
E più gliel' illuftrò l'effere unito
Al fuo Fattor, della cui destra è dono
L'umana fapienza e la divina.

E pur, chi'l crederia? tante del cielo
Inclite doti, altro non fur, che accefa
Face, ond' altri fcorgeffe in chiaro giorno
L'alte ruine, in cui fen giacque oppreffo.
Ma chi l'oppreffe, ohimè! egli al fuo tronco,
Frondofo e grande e d' aurei frutti carco,
Calò di propria man la fcure, e il vide

C 2

Giacer

Giacer per terra inonorato e baffo.
Così quantunque l' Intelletto al vero
Tendelfe, e poi la Volontade al buono,
Sottentrò la malizia: e ancorchè nota
Foffe la non conceffa e torta via,

Di gir per quella eleffe, e in quella pose,
Dietro al falfo piacere, il piede errante.
Ecco a' profani ed efecrandi altari
Offre gl'incenfi: e femminil vaghezza
Il vince sì, che più del ciel non cura .
Ahi che funefto orrore! Egli, che un tempo,
Qual di prima grandezza inclita ftella
Splendea ful trono, e di Virtute adorno
Spargea di luce un largo effluvio immenso,
Perch' ei sì volle, in tenebre converse
Il fovrano fuo lume e 'l cielo ifteffo
Mirò, di duolo e meraviglia pieno,
Di sì bel Sol la portentofa ecliffe .

:

FINE DEL LIBRO SECONDO .

DELL'

DELL'ETOPEDIA

OVVERO ISTITUZIONE MORALE.

LIBRO TERZO.

O

H grande ed ammirabil magistero
Dell' Artefice Eterno! Egli di tanti,

Ch' ei mife in opra, a se ben noti ordigni,
Onde l'uman compofto ha moto e forma,
Volle, che foffe uno il confenfo, ed uno
Il lor concorso: appunto come i rivi
Alla fola forgente, e come i rami
Mettono ad un fol tronco. Or fe per gradi
Noi divifiam dell' Intelletto il regno,
E come egli conosce, e come a lui
Convienfi il giudicar, se buono o reo
Sia ciò ch' ei vede : e fe diciam, che quella
E' la ragion, che ne prescrive e detta
Ciò, che per noi debbe ridurfi all'atto:
E fe per infallibile affioma,

Ciocchè dell' intelletto al feggio ascende,
Per la ftrada de' fenfi a lui fi porta;
Quefte, che tra di lor cose distinse
L'umano ingegno, per color, che fanno
Seder tra filofofica famiglia

C 3

Pur

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