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Recide le tenaci afpre ritorte;

Onde l'uom tolto a vil fervaggio indegno, Fa della bella libertade acquitto. E dunque la Ragione a Dio fembiante; Perchè una in noi rifiede, una cofparge I fuoi tefori immenfi, ed uno è il regno, Con cui, quai sfere al fuo voler foggette, L'umane voglie per ben dritta norma Ne' vaghi errori lor tempra e governa E ben vi è d'uopo per cammin si torto Chi per la man ci guidi: altro che fiumi, Altro che felve, altro che alpestri monti Ed ogni error, che i pellegrini intrica, Sonvi le cure e gli odiofi affanni, Le fperanze, i timor, le paci, e l' ire, E mille altre crudeli ingorde belve, A noi moventi infidiofo affalto; Onde paventa il cuor, vacilla il piede, E noftra mente perturbata e fmossa. Rifugge in antro tenebrofo e dove Crede aver pace, ivi' ha più fier contrafto; Perchè combatte feco fteffa, e fente Degli amari rimorfi acuto fprone.

:

Pure il fentirgli è buono alto l' infige Nel di lei fianco alma Ragion, che vuole Toglierla all'ombre, e ridonarla al giorno. Questa è la fcorta, e quefto il chiaro lume, Cui feguir debbe la mortal Virtute, Che per lung' ufo, e per coftume avanza, E non aborre disciplina ed arte:

E s'

E s'uom l'aborre, io gitto l' opra e 'l tempo.
Che giovería e di Numidia e Paro,
O del vicino Carrarese i marmi

Trafportar qui fulle Latine fponde,
Per fattofa innalzare eccelsa mole
Cui ceder debba, per materia ed arte
E Caria, e Menfi, e la fuperba Egitto?
Che giovería dalle frondofe cime
Del Libano odorato alti foftegni
Trarre a grand' uopo, e di Dedalea mano
Mille quivi impiegar fatiche industri;
Se quel terreno, ov' altri erger disegna
Un sì bello edificio, al fovrapposto
Peso non regge, e per fuo vizio cede?
Vuolvi, che la Ragion gitti ben falde
Le fondamenta: indi, per far più adorno
Della felicitade il nobil tempio,

Altra materia, altri iftrumenti e fregj
A sì grand' opra e a tal lavor fi denno.

FINE DEL LIBRO PRIMO .

B 2

DELLA

DELL' E TOPEDIA

OVVERO ISTITUZIONE MORALE.

LIBRO SECONDO.

M

Olto Natura, e molto può il Costume,
Per promuover Virtute. Oh quei felice,
Che benigne fortì placide tempre,

Inimiche di barbara fierezza !

E l'alimento ancor par, che concorra,
Per far, che al male o al ben, veloce o tardo
Sia l'uman genio in libertà ripofto.
Nè già negar fi dee quel, che de' faggi
In un col detto esperienza infegna.
Or quefti confeffar, che 'l primo latte
Delle nutrici al pargoletto figlio,
Non fol de' morbi l'odiofa fchiera
Infidiatrice alla corporea falma:

O pur
la fanità robufta e forte,
Che tardi cede al flagellar del tempo;
Ma quel, ch'è più mirabile, ma vero,
Nella di noi migliore eccelfa

parte

Occulta forza induce; ond' è, che fpeffo
Più nell' un, che nell' altro il cuor rapito
Pronto fi volge, o alla Virtude o al vizio.
È ti faran per le Latine carte

B 3

Ben

1

Ben chiari illuftri esempli, ebbro Nerone,
Caligola crudele. Ah fi perdoni

Alla lingua, che osò nomar quest' empj :
Nè più di lor fi parli. Or, vedi Remo
Inclita prole, e 'l fuo fratel Quirino,
A cui la Marzial nodrice Lupa

Porge le fue mammelle: e ben conosce
Per qual del nobil Tebro alta speranza
Prende affetti di madre. Ella il fanguigno
Accefo fguardo, colle dolci tempre
D'amor, rende men fiero: e or questi or quegli
Lambe foavemente, e gli accarezza.
E quei dal duro afpro terren filvestre,
Alle tenere membra ifpido letto,
Si veggion femplicetti ed innocenti
Ora al fianco vellofo, ora al ferino
Collo, ch' effa ver loro inchina e piega,
Scherzando alzar la pargoletta mano.
Intanto per le vene al cuor s' infonde
Quel robufto alimento: e lor comparte
Vigor, che poi farà ben chiara fede
Qual non da molle e delicato feno,
Ma da montana belva incontro a' lupi,
Contro a' cinghiali alle battaglie avvezzi
Traffer forza et ardire: e quinci forfe
Molte dell' opre loro, ancorchè moffe
Foffer da giufto di regnar configlio,
Ad altri fembreranno onte e rapine.
Se non che l'opra dal fuo fine acquifta
L'adeguato fuo nome: ed è talvolta

La

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