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Mi si mostra il mio fato. Io cedo, io cedo:

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Ch'io segua il mio viaggio: e forse è meglio

Ch'io taccia, e nulla conti

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A 'l misero Montano.

17 SOLERTI.

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CORO.

Non bisogna la morte:

Ché a stringer core a core

Bastò prima la fede e poi l'amore.

Né quella che si cerca

È sí difficil fama,

Seguendo chi ben ama:

Ché amore è merce, e con amar si merca;
E cercando l'amor si trova spesso
Gloria immortale appresso.

7. È sempre l'idea di DANTE, Inf., V:

Amor ch'a nullo amato amar perdona.

MARINI, Adone:

Degno cambio d'amore è solo amore,
Degno premio d'amore è solo amore.

E lo STIGLIANI, Polifemo:

Ch'altro premio ch'amore amor non have.

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INTERMEDIO III 1.

Divi noi siam, che ne 'l sereno eterno
Fra celesti zaffiri e bei cristalli

Meniam perpetui balli

Dove non è giammai state né verno.

Ed or grazia immortale, alta ventura

Qua giú ne tragge, in questa bella imago
De 'l teatro de 'l mondo;

Dove facciamo a tondo

Un ballo novo e dilettoso e vago,

Fra tanti lumi de la notte oscura

A la chiara armonia de 'l suono alterno.

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1) In forma di ballata. Dal contesto appare chiaro che questo intermedio doveva esser cantato da alcuni dèi.

1. Anche questa figurazione non sappiamo che si fosse; dai vv. 9-11 si rileva che questi dèi dovettero presentarsi eseguendo un ballo tondo > accompagnati da musica.

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STAZIO:

Musis amicus tristitiam et metus
Tradam protervis in mare Creticum
Portare ventis.

Ecquid ago precibus? pectusque agreste movetur?
An riget, et Zephyri verba caduca ferunt?

Irrita ventosae rapiebant verba procellae.

Pur ora ti teneva: in tal maniera
M'avea Nerina il tuo caso dipinto.
Ahi, stata fosse muta od altri sordo!

Silvia.

Certo 'l rischio fu grande; ed ella avea
Giusta cagion di sospettarmi morta.

Dafne.

Ma non giusta cagion avea di dirlo.
Or narra tu qual fosse 'l rischio, e come
Tu lo fuggisti.

Silvia.

Io, seguitando un lupo,

Mi rinselvai ne 'l più profondo bosco,

Tanto ch'io ne perdei la traccia. Or, mentre

Cerco di ritornare onde mi tolsi,

Il vidi, e riconobbi a un stral che fitto
Gli aveva di mia man presso un orecchio.
Il vidi con molt'altri intorno a un corpo
D'un animal ch'avea di fresco ucciso,
Ma non distinsi ben la forma. Il lupo
Ferito, credo, mi conobbe, e 'n contra
Mi venne con la bocca sanguinosa.
Io l'aspettava ardita, e con la destra
Vibrava un dardo. Tu sai ben s'io sono
Maestra di ferire, e se mai soglio

Far colpo in fallo. Or quando il vidi tanto
Vicin che giusto spazio mi parea

A la percossa, lanciai un dardo, e 'n vano:
Ché, colpa di fortuna o pur mia colpa,

7. TERENZIO, Andria, III, 1:

Utinam aut hic surdus aut haec muta facta sit.

25. TASSO, Rinaldo, I, 53:

Una disposta e vaga giovanetta,

Dal cui dardo ferita e poscia uccisa
Fu la fugace e timida cervetta:
Dal dardo, ch'ella, di lanciar maestra,
Tutto le fisse entro la spalla destra.

29. PETRARCA, son. Se 'l dolce sguardo:

O per mia colpa, o per malvagia sorte;

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