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e tan Tali in somma sono non solo il vestire e 'l parlare, ma tutte giur quelle che, con un nome comune, usanze si chiamano. Queste, come il lor nome dimostra, da la consuetudine al biasimo ed a la lode sono determinate 1. E sotto questa considerazione caggiono molte di quelle opposizioni che si fanno ad Omero intorno al decoro de le persone, come alcuni dicono, mal conosciuto da lui. Alcune altre cose si ritrovano poi, che tali determinatamente sono in sua natura; cioè, o buone o ree sono per sé stessé, e non ha l'uso sovra loro imperio o autorità nessuna. Di questa sorte è il vizio e la virtú: per sé stesso è malvagio il vizio, per sé stessa è onesta la virtù; e l'opere virtuose e viziose sono per sé stesse e lodevoli e degne di biasimo. E quel che per sé stesso è tale, perché il mondo e i costumi si variino, sempre nondimeno sarà tale; né s'una volta meritò lode colui che rifiutò l'oro de' Sanniti, o colui, che

Legò sé vivo, e 'l padre morto sciolse',

di queste azioni lor sarà mai, per volger di secoli, biasimo attribuito. Di questa sorte sono parimente l'opere de la natura, di maniera che quel ch'una volta fu eccellente, malgrado de la instabilità de l'uso, sarà sempre eccellente. È la natura stabilissima ne le sue operazioni, e procede sempre con un tenore certo e perpetuo, se non quanto per difetto e incostanza de la materia si vede talor variare; perché guidata da un lume e da una scorta infallibile 5, riguarda sempre il buono e 'l perfetto; ed essendo il buono e 'l perfetto sempre il medesimo, conviene che 'l suo modo di operare sia sempre il medesimo. Opera de la natura è la bellezza, la qual consistendo in certa proporzion di membra, con grandezza convenevole e con vaga soavità di colori, queste condizioni che belle per sé stesse una volta furono, belli sempre saranno, né potrebbe l'uso fare ch'altrimente paressero: sí come, a l'incontra, non può far l'uso sí, che belli paiano i capi aguzzi, o i gozzi, fra quelle nazioni, ove sí fatte qualità ne la maggior parte de gli uomini si veggiono. Ma tali in sè stesse essendo l'opere de la natura, tali in só stesse

1) sono determinate: sono giudicate; assoggettate.

2) caggiono: cadono.

3) colui ecc. Curio Dentato, di cui è noto l'aneddoto.

4) Legò ecc. PETRARCA, Trionfo della Fama, II, v. 30; dove loda Cimone d'aver consentito di star prigione, perché il corpo del padre, morto in carcere, ottenesse sepoltura [G.].

5) da un lume ecc., da Dio.

conviene che siano l'opere di quell'arte che, senza alcun mezzo de la natura è imitatrice.

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E per fermarsi su l'esempio dato, se la proporzione de le membra per sé stessa è bella, questa medesima imitata dal pittore e da lo scultore per sé stessa sarà bella; e se lodevole è il naturale, lodevole sarà sempre l'artificioso, che dal naturale depende. Di qui avviene che quelle statue di Prassitele o di Fidia, che salve da la malignità de' tempi ci sono restate, cosí belle paiono a i nostri uomini, come belle a gli antichi soleano parere; nó il corso di tanti secoli, o l'alterazione di tante usanze, cosa alcuna ha potuto scemare de la loro degnità. Avendo io in questo modo distinto, facilmente a quella ragione si può rispondere, ne la quale si dice che piú eccellenti sono quelle poesie che più approva l'uso, perché ogni poesia è composta di parole e di cose. In quanto a le parole, concedasi (poi che nulla rileva al nostro proposito) che quelle migliori siano, che più da l'uso sono commendate; però che in sé stesse né belle sono né brutte, ma quali paiono, tali la consuetudine le fa parere: onde le voci che appo il re Enzo, ed appo gli altri antichi dicitori furono in prezzo3, suonano a l'orecchie nostre un non so che di spiacevole. Le cose poi che da l'usanza dependono, come la maniera de l'armeggiare, i modi de l'aventure, il rito de' sacrifici e de' conviti, le cerimonie, il decoro e la maestà de le persone; queste, dico, come piace a l'usanza, che oggi vive e che domina il mondo, si devono accomodare. Però disconvenevole sarebbe ne la maestà de' nostri tempi ch'una figliuola di re insieme con le vergini sue compagne andasse a lavare i panni al fiume; e questo in Nausicaa ", introdotta da Omero, non era in que' tempi

1) senza alcun mezzo: cioè, direttamente.

2) appo il re Enzo ecc. Allude agli antichi rimatori della scuola siciliana. Enzo, figliuolo di Federico II, re di Sardegna, prigioniero dei bolognesi alla battaglia di Fossalta (1249), visse poi per ventitré anni in Bologna in onorata prigione e forse vi introdusse per primo l'arte di rimare, essendo egli de' piú leggiadri dicitori del suo tempo. Cfr. su di lui in particolare F. TORRA CA, La scuola poetica siciliana nella Nuova Antologia, s. III, vol. LIV (1894), pp. 35-37 dell'estratto; e CESAREO, La poesia siciliana sotto gli Svevi, Catania, Giannotta, 1894, pp. 54-55, e passim.

3) furono in prezzo: furono pregiate.

4) Nausicaa. È noto questo delicatissimo episodio del VI dell'Odissea, bellamente tradotto in esametri da G. MAZZONI (Esperimenti metrici, Bologna, Zanichelli, 1882). È curioso che questo esempio di Nausicaa a proposito del costume, è tale e quale nel Discorso dei Romanzi di G. B. GIRALDI CINTIO cit., p. 37.

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disconvenevole: parimente, che in cambio de la giostra s'usasse il combatter su i carri, e molte altre cose simili, che per brevità trapasso. Però poco giudicioso in questa parte si mostrò il Trissino, ch'imitò in Omero quelle cose ancora, che la mutazione de' costumi avea rendute men lodevoli. Ma quelle che immediatamente sovra la natura sono fondate, e che per sé stesse sono buone e lodevoli, non hanno riguardo alcuno a la consuetudine; né la tirannide de l'uso sovra loro in parte alcuna si estende. Tale è l'unità de la favola, che porta in sua natura bontà e perfezione nel poema, sí come in ogni secolo passato e futuro ha recato e recarà. Tali sono i costumi; non quelli che con nome d'usanze sono chiamati, ma quelli che ne la natura hanno fisse le loro radici, de' quali parla Orazio in quei versi:

Reddere qui voces jam scit puer, et pede certo
Signat humum, gestit paribus colludere, et iram
Colligit, et ponit temere, et mutatur in horas1.

Intorno a la convenevolezza de' quali si spende quasi tutto il secondo de la Retorica d'Aristotele. A questi costumi del fanciullo, del vecchio, del ricco, del potente, del povero e de l'ignobile, quel che in un secolo è convenevole, in ogni secolo è convenevole: ché se ciò non fosse, non n'avrebbe parlato Aristotele, però ch'egli di sole quelle cose fa profession di parlare, che sotto l'arte possono cadere; e l'arte essendo certa e determinata, non può comprendere sotto le sue regole ciò che, dependendo da la instabilità de l'uso, è incerto e mutabile. Sí come anco non avrebbe ragionato de l'unità de la favola, s'egli non avesse giudicata questa condizione essere in ogni secolo necessaria. Ma mentre vogliono alcuni nova arte sovra novo uso fondare, la natura de l'arte distruggono, e quella de l'uso mostrano di non conoscere.

Questa è, signor Scipione, la distinzione, senza la quale non si può rispondere a coloro che dimandassero quali poemi debbono esser piú tosto imitati; o quelli de gli antichi epici, o quelli de' moderní romanzàtori; perché in alcune cose a gli antichi, in alcune a' moderni debbiamo assomigliarci. Questa distinzione, mal conosciuta dal vulgo, che suol piú rimirare gli acci

1) Reddere ecc. Ars poet., vv. 158-160.

2) il secondo: sottintendi, libro.

denti che la sostanza de le cose, è cagione ch'egli veggendo poca convenevolezza di costumi e poca leggiadria d'invenzioni in que' poemi, ne' quali la favola è una, crede che l'unità de la favola sia parimente biasimevole. Questa medesima distinzione, mal conosciuta da alcuni dotti, gli indusse a lassar la piacevolezza de le aventure e de le cavallerie de' romanzi, e il decoro de' costumi moderni, ed a prender da gli antichi, insieme con l'unità de la favola l'altre parti ancora, che men care ci sono. Questa, ben conosciuta e ben usata, fia cagione che con diletto non meno da gli uomini vulgari che da gli intelligenti i precetti de l'arte siano osservati; prendendosi da l'un lato, con quella vaghezza d'invenzioni, che ci rendono sí grati i romanzi, il decoro de' costumi; da l'altro, con l'unità de la favola, la saldezza e 'l verisimile, che ne' poemi d'Omero e di Virgilio si vede. Resta l'ultima ragione, la qual' era, che essendo il fine de la poesia il diletto, quelle poesie sono più eccellenti, che meglio questo fine conseguiscono; ma meglio il conseguisce il romanzo che l'epopeia, come l'esperienza dimostra. Concedo io quel che vero stimo, e che molti negarebbono; cioè, che 'l diletto sia il fine de la poesia. Concedo parimente quel che l'esperienza ci dimostra; cioè che maggior diletto rechi a' nostri uomini il Furioso, che l'Italia liberata, o pur l'Iliade o l'Odissea. Ma nego però quel ch'è principale, e che importa tutto nel nostro proposito; cioè, che la moltitudine de le azioni sia più atta a dilettare, che l'unità; perché se bene piú diletta il Furioso, il qual molte favole contiene, che la Italia liberata, o pur i poemi d'Omero, ch'una ne contengono; non avviene per rispetto de la unità o de la moltitudine, ma per due cagioni, le quali nulla rilevano nel nostro proposito. L'una, perché nel Furioso si leggono amori, cavallerie, venture ed incanti, e in somma invenzioni piú vaghe e piú accomodate a le nostre orecchie, che quelle del Trissino non sono; le quali invenzioni non sono piú determinate a la moltitudine che a la unità: ma in questa ed in quella si possono egualmente ritrovare. L'altra è perché ne la convenevolezza de le usanze, e nel decoro attribuito a le persone, molto più eccellente si dimostra il Furioso. Queste cagioni sí come sono accidentali a la moltitudine e a l'unità de

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la favola, e non in guisa proprie di quella, che a questa non siano convenevoli; cosí anco non debbono concludere, che piú diletti la moltitudine che l'unità. Perciò che essendo la nostra umanità composta di nature assai fra loro diverse, è necessario che d'una istessa cosa sempre non si compiaccia, ma con la diversità procuri or a l'una, or a l'altra de le sue parti sodisfare. Una ragione sola, oltre le dette, si può immaginare molto piú propria de le altre: questa è la varietà; la quale essendo in sua natura dilettevolissima, assai maggiore diranno che si trovi ne la moltitudine, che ne la unità de la favola. Né già io niego che la varietà non rechi piacere; oltre che il negar ciò sarebbe un contradire a la esperienza de' sentimenti, veggendo noi che quelle cose ancora, che per sé stesse sono spiacevoli, per la varietà nondimeno care ci divengono; e che la vista de' deserti, e l'orrore e la rigidezza de le alpi ci piace doppo l'amenità de' laghi e de' giardini; dico bene, che la varietà è lodevole sino a quel termine, che non passi in confusione; e che sino a questo termine è tanto quasi capace di varietà l'unità, quanto la moltitudine de le favole: la qual varietà se tale non si vede in poema d'una azione, si deve credere che sia piú tosto imperizia de l'artefice, che difetto de l'arte; i quali per iscusare forse la loro insofficienza, questa lor propria colpa a l'arte attribuiscono. Non era per aventura cosí necessaria questa varietà a' tempi di Virgilio e d' Omero, essendo gli uomini di quel secolo di gusto non cosí isvogliato1: però non tanto v’attesero, benché maggiore nondimeno in Virgilio che in Omero si ritrovi. Necessariissima era a' nostri tempi; e perciò dovea il Trissino co' sapori di questa varietà condire il suo poema, se voleva che da questi gusti sí delicati non fosse schivato: e se non tentò d'introdurlavi, o non conobbe il bisogno, o il disperò 2 come impossibile. Io, per me, e necessaria nel poema eroico la stimo, e possibile a conseguire. Però che, sí come in questo mirabile magisterio di Dio, che mondo si chiama, e 'l cielo si vede sparso o distinto di tanta varietà di stelle; e discendendo poi giuso di mano in mano, l'aria e il mare pieni d'uccelli e di pesci; e la terra albergatrice di tanti animali cosí feroci come

1) cosi isvogliato: cosí guasto; cosí raffinato. - SALVINI, Prose Toscane, 2, 54: < Come questo disprezzo, quella svogliatura, questa nausea purtroppo comune al dí d'oggi ›.

2) il disperò: disperò di poter introdurre cotale varietà nel suo poema.

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