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DISCORSI

DELL'ARTE POETICA

ED IN PARTICOLARE

SOPRA IL POEMA EROICO.

Scrisse il Tasso a Ferrara questi Discorsi e li lesse all'Accademia Ferrarese fra il 1568 e il 1570; cfr. la mia Vita di T. Tasso, Torino, Loescher, 1895, vol. I, pp. 121-123. Nel 1585 così li rammentava: Ed io scrissi già nella mia fanciullezza alcuni discorsi in questo subbietto, molto prima che fossero stampati e ch'io vedessi i commenti del Castelvetro e del Piccolomini sovra la Poetica [d'Aristotele] »; (Lettere, II, no 343). Ma se egli non usò di questi due commenti, de' quali quello del Castelvetro fu pubblicato a Vienna nel 1570 e quello di Alessandro Piccolomini a Venezia nel 1575, poté studiare Aristotile sulle traduzioni di Lorenzo Valla, di Alessandro de' Pazzi (Basilea, 1537, ecc.), di Francesco Robertello (Venezia, 1548) il quale ebbe altresì per maestro a Padova; di Bernardo Segni (Firenze, 1549) e di Vincenzo Maggio; e conoscere i numerosissimi commentatori, come il Trissino e Pier Vettori, di quella Poetica che dettò legge e fu occasione di tante dispute per la sua oscurità massimamente in quel secolo decimosesto. Ma poi e del Castelvetro e del Piccolomini usò durante la revisione del poema; cfr. Lettere, I, 38, 39, 46, 82, 87, ecc. Nel 1587 il Tasso spiegava nelle Differenze poetiche (Prose diverse, I, p. 435) da quali ragioni era stato mosso a comporli: < ..... volli cercar la verità; e trovar la dritta strada del poetare, da la quale molto hanno traviato i moderni poeti. E benché io non dovessi, per l'età mia giovanile, farmi guida de gli altri, nondimeno, vedendo molte strade e calcate da molti, non sapeva quale eleggere; e mi fermai tra me stesso discorrendo in quel modo che fanno i viandanti ove sogliono dividersi le strade, quando non si avvengono a chi gli mostri la migliore. E scrissi i miei Discorsi per ammaestramento di me stesso, i quali sottoposi al giudicio altrui, come coloro che dimandano consiglio >. Questi Discorsi diede il Tasso all'amico suo Scipione Gonzaga, dalle cui mani usciti piú tardi, furono stampati (Venezia, Vasalini, 1587) con dispiacere dell'autore, che già aveva incominciato a correggerli e a riformarli con idee molto diverse e dell'arte e di sé. E cosí mutati e ridotti al numero di sei col titolo di Discorsi del poema eroico pubblicò egli stesso a Napoli, per lo Stigliola, 1594 (cfr. Vita cit., I, 793). I Discorsi, nelle due redazioni, sono nelle Prose diverse, Firenze, Le Monnier, 1875, I, alla quale edizione mi riferisco.

DISCORSI

DELL'ARTE POETICA

ED IN PARTICOLARE

SOPRA IL POEMA EROICO

Al Signor Scipion Gonzaga1.

DISCORSO PRIMO.

A tre cose deve aver riguardo ciascuno che di scriver poema eroico si prepone 2; a sceglier materia tale, che sia atta a ricevere in sé quella piú eccellente forma che l'artificio del poeta cercarà d'introdurvi; a darle questa tal forma; e a vestirla ultimamente con que' più esquisiti ornamenti, ch'a la natura di

1) Scipione Gonzaga, dei marchesi di S. Martino e di Gazzuolo, ramo laterale dei Gonzaga di Mantova; nacque nel 1542; abbracciò la vita ecclesiastica e studiò a Padova dove instituí nella propria casa l'accademia degli Eterei, che salí in grande rinomanza per esservi appartenuti da giovani molti tra i migliori scrittori della fine di quel secolo, tra i quali il Guarini e il Tasso. Scipione fu costante amico del nostro Torquato, che gli affidò la revisione della Gerusalemme, e gli dedicò prose e rime (cfr. la Vita cit., passim); visse per lo piú a Roma; fu creato patriarca di Gerusalemme nel settembre 1585, e cardinale il 18 dicembre 1587; morí l'11 gennaio 1593. Oltre ad alquanti versi tra le Rime degli Accademici Eterei, Padova, 1567, ci restano di lui Commentarium rerum suarum libri tres. Accessit liber quartus apаλειπоμένшv auctore Iosepho Marotto quos Aloitius Valentius Gonzaga Card. primum edidit et Caietano frati inscripsit, Romae, apud Salomonium, MDCCXCI.

2) si prepone. Conservo questa lezione, che viene dalla prima stampa, vedendo che sta anche nella edizione originale dei Libri sul Poema Eroico. E sarà un esempio da aggiungere a que' del trecento, di preporre nel senso di divisare, far proposito; oggi proporre. [Nota del Gua ti].

lei siano convenevoli. Sovra questi tre capi dunque, cosí distintamente come io gli ho proposti, sarà diviso tutto questo Discorso; però che cominciando dal giudicio ch'egli 2 deve mostrare ne l'elezione de la materia, passarò a l'arte che se gli richiede servare prima nel disporla e nel formarla, e poi nel vestirla e ne l'adornarla.

La materia nuda (materia nuda è detta quella che non ha ancor ricevuta qualità alcuna da l'artificio de l'oratore e del poeta) cade sotto la considerazion del poeta in quella guisa che 'l ferro o il legno vien sotto la considerazion del fabro; però che si come colui che fabrica le navi, non solo è obligato a sapere qual debba esser la forma de le navi, ma deve anco conoscere qual maniera di legno è piú atta a ricever in sé questa forma; cosí parimente conviene al poeta, non solo aver arte nel formare la materia, ma giudicio ancora nel conoscerla; e sceglierla' dee tale, che sia per sua natura d'ogni perfezione capace.

La materia nuda viene offerta quasi sempre a l'oratore dal caso o da la necessità; al poeta da l'elezione; e di qui avviene, ch'alcune fiate quel che non è convenevole nel poeta, è lodevole ne l'oratore. È ripreso il poeta, che faccia nascer la commiserazione sovra persona, che abbia volontariamente macchiate le mani nel sangue del padre; ma del medesimo avvenimento trarrebbe la commiserazione con somma sua lode l'oratore; in quello si biaşma l'elezione, in questo si scusa la necessità e si loda l'ingegno; perciò che si come non è alcun dubio, che la virtú de l'arte non possa in un certo modo violentar la natura de la materia, sí che paiano verisimili quelle cose che in sé stesse non son tali, e compassionevoli quelle che per sé stesse non recarebbono compassione, e mirabili quelle che non por

1) materia... convenevoli. Aristotile nella Metafisica disse che in ogni opera d'arte bisogna considerare la materia (öλŋ, selva); la forma (eïòog) e l'atto (ποιήσις).

2) ch'egli; il poeta.

3) de la. Usò il Tasso di scrivere per lo piú divise le preposizioni articolate; anzi, si trova un codice di mano di un copista nel quale egli ha costantemente corretto quelle che erano unite. Per uniformità, mi atterrò dunque sempre a questo modo di scrivere.

4) la virtú de l'arte ecc. Cfr. DANTE, Parad., I, 127-29: Vero è che come forma non s'accorda Molte fiate alla intenzion dell'arte Perch'a risponder la materia è sorda ; e Parad., XIII, 77-78: < ... similemente operando all'artista c'ha l'abito de l'arte e man che trema >.

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