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Scipione, che ha data a i nostri tempi occasione di varie e lunghe contese a coloro

Che 'l furor litterato in guerra mena1.

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Però che alcuni necessaria l'hanno giudicata; altri a l'incontra hanno creduto la moltitudine de le azioni al poema eroico piú convenirsi: Et magno iudice se quisque tuetur; facendosi i difensori de la unità scudo de la autorità d'Aristotele 2, de la maestà de gli antichi greci e latini poeti, né mancando loro quelle armi che da la ragione sono somministrate: ma hanno per avversari l'uso de' presenti secoli 3, il consenso universale de le donne e cavalieri e de le corti; e, sí come pare, l'esperienza ancora, infallibile paragone de la verità; veggendosi che l'Ariosto, partendo 5 da le vestigie de gli antichi scrittori e de le regole d'Aristotele, ha molte e diverse azioni nel suo poema abbracciate, è letto e riletto da tutte l'età, da tutti i sessi, noto a tutte le lingue, piace a tutti, tutti il lodano, vive e ringiovanisce sempre ne la sua fama, e vola glorioso per le lingue de' mortali; ove il Trissino",

1) mena. PETRARCA, Trionfo della Fama, ediz. Mestica, III, v. 103. La questione dell'unità della favola fu una delle più disputate tra retori e poeti del secolo decimosesto; e troppo lungo sarebbe per questo luogo darne solo un breve cenno.

2) autorità d'Aristotile. Ecco il luogo disputatissimo: < Ora la favola è una, non come alcuni estimano, se si rigira intorno ad una persona, perciocché molte et infinite cose alla maniera avvengono, d'alcune delle quali non può esser punto una cosa; e cosí ancora sono molte azioni d'una persona delle quali punto non si fa una azione. Perché tutti que' poeti paiono prendere errore, li quali hanno composte Ercoleide e Taseide e cosí fatti poemi, perciocché si danno ad intendere, poi che Ercole è una persona, dovere ancora la favola esser una..... Bisogna dunque che cosí come nelle altre arti rappresentative una è la rassomiglianza d'una cosa, cosí ancora che la favola, che è rassomiglianza d'azione, sia d'una, e di questa tutta; e che le parti delle cose siano disposte cosí, che trasportata una parte o levata via, si trasformi e si muti il tutto... (Poetica cit., pp. 172-3).

3) de' presenti secoli: dell'età moderna.

4) il consenso universale, ecc. Intende della fortuna e del favore ottenuto dai romanzi cavallereschi e specialmente nelle corti da quelli di materia brettone, i quali dilettano con la molteplicità delle avventure e coi loro viluppi. 5) partendo: allontanandosi.

6) il Trissino... se ne rimane. È noto che il Trissino subito s'avvide del poco favore che incontrava l'Italia liberata dai Goti ed è fama che sclamasse: Sia maledetta l'ora e giorno, quando

Presi la penna e non cantai d'Orlando.

Ma egli era nel falso attribuendo la cagione del poco incontro ottenuto soltanto all'argomento prescelto, mentre, come bene osserva il Tasso, doveva piuttosto attribuirla al modo come lo aveva svolto.

3 SOLERTI.

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d'altra parte, che i poemi d'Omero religiosamente si propos d'imitare, e dentro i precetti d'Aristotele si ristrinse, men vato da pochi, letto da pochissimi, prezzato quasi da nissu. muto nel teatro del mondo, è morto a la luce de gli uomini, sepolto a pena ne le librerie e ne lo studio d'alcun letterato se ne rimane. Né mancano in favore di questa parte, oltre l'esperienza, saldi e gagliardi argomenti; però che alcuni uomini dotti ed ingegnosi, o perché cosí veramente credessero, o per mostrare la forza de l'ingegno loro, e farsi graziosi al mondo 2, adulando a guisa di tiranno (ché tale è veramente) questo consenso universale, sono andati investigando nuove e sottili ragioni, con le quali l'hanno confermato e fortificato. Io per me, come che abbia questi tali in somma riverenza per dottrina e per facondia, e come che giudichi che 'l divino Ariosto, e per felicità di natura e per l'accurata sua diligenza e per la varia cognizion di cose e per la lunga pratica de gli eccellenti scrittori, da la quale acquistò un esatto gusto del buono e del bello, arrivasse a quel segno nel poetare eroicamente, a cui nissun moderno, e pochi fra gli antichi son pervenuti; giudico nondimeno, che non sia da esser seguito ne la moltitudine de le azioni; la qual moltitudine scusabile nel poema epico può ben essere, rivolgendo la colpa o a l'uso de' tempi o al comandamento di principe o a preghiera di dama o ad altra cagione; ma lodevole non sarà però mai riputata.

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Né per passione né per temerità o a caso mi movo a cosí dire, ma per alcune ragioni; le quali, o vere o verisimili che siano, hanno virtú di piegare o di tener fermo in questa credenza l'animo mio. Ché se la pittura e l'altre arti imitatrici ricercano, che d'uno una sia l'imitazione; se i filosofi, che vogliono sempre l'esatto e 'l perfetto de le cose, fra le principali condizioni richieste ne' lor libri, vi cercano l'unità del soggetto; la qual sola mancandovi, imperfetto lo stimano; se ne la tragedia e ne la comedia, finalmente, è da tutti giudicata necessaria: perché questa unità, cercata da' filosofi, seguita da' pittori

1) religiosamente: pedissequamente.

2) farsi graziosi al mondo: rendersi bene accetti all'opinione del pubblico. 3) comandamento, ecc. Il Tasso allude indirettamente alla necessità nella quale si trovavano i poeti cortigiani di inserire nei loro poemi digressioni ed episodi a bella posta per avere occasione di lodare príncipi, dame e signori, tessere genealogie, ecc.; com'è appunto nel Furioso e nella Liberata.

4) per passione. Intendi per ragione di disputa; per principio preso innanzi.

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e da gli scultori, ritenuta da i comici e da i tragici suoi compagni, deve essere da l'epico fuggita e disprezzata? Se l'unità porta in natura perfezione, e imperfezione la moltitudine; onde i Pittagorici, quella fra i beni e questa fra' mali annoveravano; onde questa a la materia e quella a la forma s'attribuisce: perché nel poema eroico ancora non portarà maggior perfezione l'unità, che la moltitudine? Oltra di ciò, presupponendo che la favola sia il fine del poeta, come afferma Aristotele1, e nissuno ha sin qui negato; s'una sarà la favola, uno sarà il fine; se piú e diverse saranno le favole, piú e diversi saranno i fini: ma quanto meglio opera chi riguarda ad un sol fine, che chi diversi fini si propone; nascendo da la diversità de' fini distrazione ne l'animo, ed impedimento ne l'operare; tanto meglio operarà l'imitator d'una sola favola, che l'imitatore di molte azioni. Aggiungo, che da la moltitudine de le favole nasce l'indeterminazione; e può questo progresso andare in infinito, senza che le sia da l'arte prefisso o circonscritto termine alcuno. Il poeta ch'una favola tratta, finita quella, è giunto al suo fine: chi piú ne tesse, o quattro o sei dieci ne potrà tessere; né piú a questo numero che a quello è obligato: non potrà aver, dunque, determinata certezza, qual sia quel segno ove convenga fermarsi. Ultimamente la favola è la forma essenziale del poema, come nissun dubita; or, se piú saranno le favole distinte fra loro, l'una de le quali da l'altra non dependa, piú saranno conseguentemente i poemi. Essendo dunque questo, che chiamiamo un poema di piú azioni, non un poema, ma una moltitudine di poemi insieme congiunta, o que' poemi saranno perfetti, o imperfetti: se perfetti, bisognarà ch'abbiano la debita grandezza; e avendola, ne risulterà una mole piú grande assai, che non sono i volumi de' leggisti3: se imperfetti, è meglio a far un sol poema perfetto, che molti imperfetti. Tralasso, che se questi poemi son molti, e distinti di natura, come si prova per la moltitudine e distinzion de le favole, ha non solo del confuso, ma

1) come afferma Aristotile. Poetica cit., p. 133: < Sí che le faccende e la favola sono il fine della tragedia, ma il fine è cosa tra tutte grandissima...» E piú sotto: < Adunque principio e come anima è la favola della tragedia. > 2) questo progresso: questo procedimento.

3) volumi de' leggisti, cioè degli scrittori di cose legali. Il Tasso che aveva cominciato lo studio delle leggi all'università di Padova, sembra che ancora se ne ricordi con ispavento!

del mostruoso ancora il traporre e mescolare le membra de l'uno con quelle de l'altro; simile a quella fera che ci descrive Dante:

Ellera abbarbicata mai non fue

Ad arbor si, come l'orribil fera

Per l'altrui membra avviticchiò le sue1;

e quel che segue. Ma perché io ho detto, che il poema di piú azioni sono molti poemi; ed innanzi dissi che l'Innamorato e 'l Furioso erano un sol poema; non si noti contrarietà ne la mia opinione: però che qui intendo la voce esattamente secondo il suo proprio e vero significato, ed ivi la presi come comunemente s'usa; un sol poema, cioè una sola composizione d'azioni, come si direbbe una sola istoria. Da queste ragioni mosso per aventura Aristotele, o da altre ch'egli vide, ed a me non sovvengono, determinò che la favola del poema una esser dovesse: la qual determinazione fu come buona accettata da Orazio ne la Poetica, là dove egli disse ciò che si tratta sia semplice ed uno2. A questa determinazione vari con varie ragioni hanno ripugnato 3, escludendo da que' poemi eroici, che romanzi si chiamano, l'unità de la favola, non solo come non necessaria, ma come dannosa eziandio. Ma non voglio referir già tutto ciò ch'intorno a questa materia è detto da loro; perché alcune cose si leggono in alcuni assai leggiere e puerili e indegne totalmente di risposta. Solo addurrò quelle ragioni che con maggior sembianza di verità questa opinione confermano; le quali in somma a quattro si riducono, e sono queste.

Il romanzo (cosí chiamano il Furioso e gli altri simili) è spezie di poesia diversa da la epopeia, e non conosciuta da Aristotele: per questo non è obbligata a quelle regole che dà Aristotele de la epopeia. E se dice Aristotele, che l'unità de la favola è necessaria ne la epopeia; non dice però che si convenga a questa poesia di romanzi, ch'è di natura non conosciuta da lui. Aggiungono la seconda ragione, ed è tale. Ogni lingua ha da la natura alcune condizioni proprie e naturali di lei, ch'a gli altri idiomi per nissun modo convengono: il che apparirà manifesto a chi

1) Ellera, ecc. Inferno, XXV, v. 58-60.

2) ciò che ecc. ORAZIO, Poet., v. 23:

Denique sit quod vis, simplex dumtaxat et unum.

3) ripugnato: opposto; contradetto.

andrà minutamente considerando quante cose ne la greca favella hanno grazia ed energia mirabile, che ne la latina poi fredde e insipide se ne restano; e quante ve ne sono, ch'avendo forza e virtú grandissima ne la latina, suonano male ne la toscana. Ma fra l'altre condizioni che porta seco la nostra favella italiana, una n'è questa, cioè la moltitudine de le azioni; e sí come a' Greci e Latini disconvenevole sarebbe la moltitudine de le azioni, cosí a Toscani l'unità de la favola non si conviene. Oltra di ciò, quelle poesie sono migliori, che da l'uso sono piú approvate, appo il quale è l'arbitrio e la podestà cosí sovra la poesia, come sovra l'altre cose. E ciò testifica Orazio ove dice:

Quem penes arbitrium est jus et norma loquendi1.

Ma questa maniera di poesia, che romanza si chiama è piú approvata da l'uso, migliore, dunque, deve essere giudicata. Ultimamente cosí concludono: quello è più perfetto poema che meglio asseguisce il fine de la poesia; ma molto meglio e piú facilmente è asseguito dal romanzo che da la epopeia, cioè da la moltitudine che da la unità de le azioni; si deve dunque il romanzo a l'epopeia preporre: ma che 'l romanzo meglio conseguisca il fine è cosí noto, che non vi fa quasi mestiero prova alcuna; però che essendo il fine de la poesia il dilettare, maggior diletto ci recano i poemi di piú favole che d'una sola, come l'esperienza ci dimostra..

Questi sono i fondamenti, sovra i quali si sostiene l'opinione di coloro, che la moltitudine de le azioni hanno giudicata ne' romanzi convenevole: saldi e certi veramente, ma non però tanto che da le macchine de la ragione 2 non possano esser espugnati; se pur la ragione sta da la parte contraria, come a me giova di credere: contra i quali la debolezza del mio ingegno, in questa ragione confidato 3, non restarò d'adoperare. Ma vegnamo al primo fondamento, ove si dice: è il romanzo spezie distinta da l'epopeia, non conosciuta da Aristotele; per questo non deve cadere sotto quelle regole, a le quali egli obliga l'epopeia. Se il romanzo è spezie distinta da l'epopeia, chiara cosa è che per qualche differenza essenziale è distinto; perché le differenze accidentali non possono fare diversità di spezie : ma non trovandosi fra il romanzo e l'epopeia differenza alcuna

1) Quem penes. Ars poet., v. 72.

2) da le macchine de la ragione: dai ragionamenti.

3) confidato: fiducioso; persuaso.

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