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Sol tu sei di te stesso,

E sol tu sei da te medesmo espresso.
Tu di leggere insegni

A i più rustici ingegni

Quelle mirabil' cose

Che con lettre amorose

Scrivi di propria man ne gli occhi altrui.

Tu in bei facondi detti

Sciogli la lingua de' fedeli tui;

E spesso (oh strana e nova

Isthaec procul facessant.

Soli Neaerae ocelli
Me, me docent amare,
Quibus soles Cupido
Tuas notare leges

Tuae stylo sagittae.

20-24. PETRARCA, canz. Solea da la fontana:

Ne gli occhi ov'abitar solea 'l mio core,
Fin che mia dura sorte invidia n'ebbe
Che di sí ricco albergo il pose in bando,
Di sua man propria avea descritto Amore
Con lettre di pietà quel ch'apparebbe
Tosto del mio sí lungo ir desiando;

e nel son. Amor con sue promesse:

El cor ne gli occhi e ne la fronte ho scritto;

e Trionfo della pudicizia, 59-60:

Come chi smisuratamente vôle,

Ch'à scritto, inanzi ch'a parlar cominci,
Ne gli occhi e ne la fronte le parole;

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Eloquenza d'Amore!)
Spesso in un dir confuso
E 'n parole interrotte
Meglio si esprime il core

E piú par che si mova,

Che non si fa con voci adorne e dotte:

E 'l silenzio ancor suole

Aver prieghi e parole.

Amor, leggan pur gli altri

Le socratiche carte,

Ch'io in due begli occhi apprenderò quest'arte:

E perderan le rime

De le penne piú sagge

Appo le mie selvagge

Che rozza mano.in rozza scorza imprime.

ORAZIO, Od., IV, 1:

Our facunda parum decoro

Inter verba cadit lingua silentio?

PETRARCA, Trionfo d'Amore, II, 189:

E' parlar rotto e 'l subito silenzio;

e son. S'una fede amorosa:

Se ne la fronte ogni penser dipinto
Od in voci interrotte appena intese.

34-35. PETRARCA, son. In nobil sangue:

Ed un atto che parlo con silenzio;

e canz. Mai non vo' più cantar, 61:

In silenzio parole accorte e sagge.

e canz. Perché la vita è breve:

La doglia mia la qual tacendo i' grido.

E lo stesso TASSO, Gerusal., IV, 65:

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E lo stesso TORQUATO nel Dialogo del Giuoco: < io son piú vago di rivolger le carte Socratiche, che di maneggiar queste altre >.

INTERMEDIO II.

Sante leggi d'amore e di natura; Sacro laccio, ch'ordío

Fede sí pura di sí bel desío;

Tenace nodo, e forti e cari stami;
Soave giogo, e dilettevol salma,
Che fai l'umana compagnia gradita;
Per cui regge due corpi un core, un'alma,
E per cui sempre si gioisca ed ami
Sino a l'amara ed ultima partita;
Gioia, conforto e pace

De la vita fugace;

De 'l mal dolce ristoro, ed alto oblío;
Chi piú di voi ne riconduce a Dio?

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Oh crudeltate estrema! oh ingrato core!

Oh donna ingrata! o tre fiate e quattro
Ingratissimo sesso! E tu, Natura,
Negligente maestra, perché solo

3-8. CASTIGLIONE, Tirsi, st. VII:

E tu, Ninfa crudel, sol cagion sei
Di trasformarmi in sí strana figura:
Che cosí bella fuor t'han fatta i Dei,
E dentro poi crudele acerba e dura.
Ma perché m'ingannasser gli occhi miei
Contra ragion ti fe' tal la natura.
Le fiere aspetto han paventoso e strano,
E tu l'animo fiero e 'l volto umano.

A le donne ne 'l volto e in quel di fuori
Ponesti quanto in loro è di gentile,
Di mansueto e di cortese, e tutte
L'altre parti oblïasti? Ahi, miserello!
Forse ha sé stesso ucciso: ei non appare.
Io l'ho cerco e ricerco omai tre ore
Ne 'l loco ov'io il lasciai e ne i contorni,
Né trovo lui, né orme de' suoi passi.
Ahi, che s'è certo ucciso! Io vo' novella
Chiederne a que' pastor che colà veggio.
Amici, avete visto Aminta, o inteso
Novella di lui forse?

Coro.

Tu mi pari

Cosí turbato: e qual cagion t'affanna?
Ond'è questo sudore e questo ansare?
Avvi nulla di mal? fa' che 'l sappiamo.

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Tirsi.

Temo de 'l mal d'Aminta: avete 'l visto?

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Coro.

Noi visto non l'abbiam da poi che teco, Buona pezza, partí; ma, che ne temi?

Tirsi.

Ch'egli non s'abbia ucciso di sua mano.

Coro

Ucciso di sua mano? or, perché questo? Che ne stimi cagione?

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Duo potenti inimici, insieme aggiunti,

Che far non ponno? Ma parla più chiaro.

Tirsi.

L'amar troppo una ninfa, e l'esser troppo Odïato da lei.

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