INTERLOCUTORI AMORE, che fa il prologo. DAFNE. SILVIA. AMINTA. TIRSI. ELPINO. SATIRO. NERINA. ERGASTO. Coro de' pastori. VENERE, che fa l'epilogo. De' cervi, d'archi e di saette armati, PROLOGO. Prima che con la mia edizione critica dell'Aminta non fosse restituito al proprio luogo, come epilogo di essa, quel componimento che andava disperso tra le rime del Tasso col titolo di Amor fuggitivo, i commentatori dichiaravano che questo prologo era imitazione dell'idillio di Mosco che s'intitola appunto Amor fuggitivo. Ora ciò non è piú conveniente, e meglio osservò il Carducci che questo prologo non è che la controparte > all'idillio di Mosco, del quale pertanto vedremo alla fine. Il BONGI (Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, Roma, 1895, II, p. 93 n.) rilevò che la prima idea d'introdurre Amore a fare il prologo poté venire al Tasso da quello della Didone, tragedia di Ludovico Dolce, pubblicata nel 1560, ov'è introdotto Amore in forma d'Ascanio a incominciare cosí: Io, che dimostro al viso A la statura, a i panni Sí come voi mortale, Son quel gran Dio che 'l mondo chiama Amore; Quel che può in cielo, in terra E nel bollente Averno; Contra di cui non vale Forza né uman consiglio. Sí come gli altri dèi, Ma di sangue e di pianto. Ne l'una mano io porto Dubbia speme, fallace e breve gioia, Ne l'altra affanno e noia, Pene sospiri e morte. Rilevando ciò il Carducci aggiunge: < Io non crederei; o almeno non ve n'era bisogno. A far prologare Amore il Tasso aveva l'esempio in casa nella pastorale del Giraldi Cinthio >: e invero nel prologo di quella, Amore annuncia di venire precisamente ad esercitare le sue arti tra ninfe e pastori. 10 SOLERTI. AMORE, in abito pastorale. Chi crederia che sotto umane forme E sotto queste pastorali spoglie Fosse nascosto un Dio? non mica un Dio Selvaggio, o de la plebe de gli dèi, 1. Il Rossi osserva che il T. non doveva far nascere la maraviglia dal presentare Amore in forme umane, quando tutti gli dèi gentili in tale forma sono rappresentati e Amore non è conosciuto che sotto forma di fanciullo. In una lunghissima nota (c. 2-45) raccoglie le attestazioni dell'umanità degli dèi presso gli antichi. Ognun vede quanto tale censura sia sciocca, poiché è facile capire che Amore suppone maraviglia svelandosi, non essendo egli accompagnato da alcuno degli attributi della divinità e sotto spoglie pastorali. 4. Scriveva il T. al Duca d'Urbino nel 1578: < Ma s'ella per propria virtú s'è sollevata sovra il volgo de' príncipi (ché cosí si può dire il volgo de' príncipi, come già si disse la plebe de gli dèi)....... » (Lettere, I, n.o 109). — Gli antichi, oltre ai dodici dèi maggiori, annoveravano: Vos quoque, plebs Superum, Fauni, Satyrique, Laresque, Nelle gravi circostanze Ovidio li fa anche intervenire nel concilio degli Dei; per giudicare di Licaone, Giove: conciliumque vocat. Tenuit mora nulla vocatos. E quindi Giove favellando nel concilio: (Metam., I, 168-74). Sunt mihi Semidei, sunt rustica numina Fauni, (ib., 192-95). CLAUDIANO, nel III del Ratto di Proserpina, convocando pure Giove un concilio: Iuppiter interea cinctam Thaumantida nimbis Ire iubet, totoque Deos accersere mundo... Ut patuit stellata domus, considere iussi. Nec non et senibus Fluviis concessa sedendi Mille Amnes: liquidis incumbunt Patribus udae Ma tra' grandi e celesti il più potente, 5 In questo aspetto, certo, e in questi panni 10 Venere madre me suo figlio Amore. Io da lei son costretto di fuggire, E celarmi da lei, perch'ella vuole Ch'io di me stesso e de le mie saette 15 E MARZIANO CAPELLA, lib. V: ‹ Turbati expavere Dei, vulgusque minorum Caelicolum trepidat. › E poco appresso: < Sed dum talibus perturbatur multa Terrestrium plebs Deorum. > Per il modo di affermare la propria deità, presso OVIDIO Giove dice per persuadere Io: Quod si sola times latebras intrare ferarum, sceptra manu teneo; sed qui vaga fulmina mitto. (Metam., I, 593-96). 5-9. Méɣlotov tõν Оɛãv vien chiamato Amore presso ELIODORO, Racconti etiopici, lib. IV; ma sarebbe troppo lungo ripetere tutte le affermazioni della potenza di Amore che si trovano nei classici; e dirò col Petrarca, del carro d'Amore: in un passo me 'n varco: Tutti son qui pregion' gli Dei di Varro; E, di lacciuoli innumerabil' carco, Vien catenato Giove innanzi al carro ». (Trionfo d'Amore, I, 157-60). Tuttavia per l'accenno particolare a Marte è da notare che l'idea è tolta dal Convito di PLATONE (XIX): < Piú oltre inquanto alla forza, né Marte fa resistenza ad Amore; percioché non Marte Amore, ma l'amor di Venere, come si dice, tiene Marte; è più potente poi colui che tiene, che chi è tenuto >. E LUCREZIO, De rerum natura, I, vv. 30-34, invoca Venere: Nam tu sola potes tranquilla pace juvare Per Nettuno, enosigaeus (OMERO, Od., IX, 283, e Il., XX, 56 sgg.) e per Giove l'accenno deriva da OVIDIO, Metam.: Tu Superos, ipsumque Iovem, tu Numina ponti |