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negli antichi commenti della Commedia mastro Adamo è detto da Brescia, e nel documento del 1277 De Anglia? Il Palmieri suppone che il coniatore de' fiorini, " che avevan tre carati di mondiglia „, fosse oriundo di Brest (Brestia), città sottoposta allora agl' inglesi.

Il volume del Palmieri potrà giovare agli studiosi di storia municipale, perchè molti nomi di città, di borghi, di paeselli, specialmente delle Marche e dell' Umbria, vi si incontrano; moltissimi di persone. Tra queste è un frate Salimbene, ma non sappiamo se sia il cronista; del resto è nome tutt'altro che raro o singolare, come il cronista mostrò di credere quando notò che gli fu imposto da un vecchio frate perchè era Salito bene entrando nella nuova religione, nel registro degli esiti di Niccolò è nominato Donno Salimbene da Civitanova delegato pontificio; in quello degl'introiti, Salimbene da Tolentino. Gli studiosi della storia del costume potranno apprendere quale stipendio ricevessero da quel papa, che nel mondo l'avere e nell' Inferno mise in borsa sè stesso, il giudice generale della Marca, il procuratore e avvocato della corte generale, i giudici di contado; quale compenso i balietti, che giustiziavano uomini, i balii, che portavano lettere, i messi e simili. Ripeterò, per far piacere al Palmieri, che più volte, nel libro di Niccolò, accanto a indicazioni di multe, si legge: "Lasciamogli il sopra più per povertade„. Ciò non basta, per altro, a dimostrare che il figliuol dell' Orsa non fu cupido per avanzar gli Orsatti.

Se il libro di Niccolò fosse giunto al Del Lungo quando scriveva il bel discorso sul volgar fiorentino nel poema di Dante, forse anch'egli, come il Palmieri

ha fatto, avrebbe accostato le parole: "Soldi venti di ravignani pagò Bartolomea da Orbino per sodisfacimento d'uno maletoletto, ai versi del Paradiso:

Se credi bene usar quel c' hai offerto,

Di mal tolletto vuoi far buon lavoro.

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Altre locuzioni della Commedia il Del Lungo ha illustrate, le quali al grande Poeta potrebbe talvolta giudicarsi suggerisse, o foggiasse a tenore d'arte, la fantasia od il cuore, ma le porgeva invece usuali e quotidiane (in quella felice giovinezza della lingua) rappresentatrici d'imagini e d'affetti, quello che bene ei chiamava prezioso volgare Farinata afferma A ciò non fui io sol; esse ad praedicta recano molti documenti, tra cui uno del 1285. Nelle Consulte fiorentine dello stesso anno si assegnano a una spedizione di fanti due buoni capitani apti et probi; il poeta nel Paradiso usò probo nel senso di valente. Aggiungerò per conto mio che probus in armis scrive spesso Salimbene, il quale con queste parole loda il conte di S. Bonifacio e Guido da Montefeltro: il Cantinelli e gli Annali di Forlì narrano che, nel 1276, un certo numero hominum proborum difese un castello. - Dotto per scorto, istruito di quel, che uno ha da fare, segue il Del Lungo si legge in interrogatorii di giudici e nel Paradiso: porre un uomo ai martiri, è nella bocca di Caifas „ (o non piuttosto di Catalano?) nella bolgia degl'ipocriti, ed è scritto nello Statuto fiorentino del Potestà.

pro

Qualche analogia, mi perdoni l'illustre accademico, sembra solo apparente: col dantesco "fammi vendetta del mio figliuol ch'è morto, ond' io m'accoro, non han che vedere, chi ben guardi, le parole. d'una vedova fiorentina petentis hereditatem filij sui

mortui. Che non danteggiasse il notaio, il quale nel 1377 rammentava come i ghibellini avessero sterminato i guelfi da una terra del Mugello con quella forza con la loro mala volontà aggiunta, non affermerei; era notaio ser Lapo Mazzei, il quale, a un amico, in lettera familiare, scrisse: " Altro non si può con chi accozza il volere e lo possa „. E perchè, domanderei al Del Lungo, non poteva, traducendo da Seneca, danteggiare ser Lapo, se, in altre lettere familiari, usò le frasi" Ricoglier le sarte di tanti pensieri, Per l'amore che mi mena, Il vivere è un correre alla morte, Chiovar nella testa con forte aùto (aguto), Si volse al pelago giunto a riva, tutte di Dante? Quel Ser Lapo, dal quale più volte è nominato il poeta?

Una pagina eccellente del Del Lungo porrà termine una buona volta almeno, speriamolo - alle contese, di cui fu ed è innocente cagione la Pia. Ella non può dire, a giudizio di parecchi,

Salsi colui, che inanellata pria,

Disposando, m'avea con la sua gemma;

deve dire, invece, disposata; deve, con le parole inanellata pria, alludere al fatto che, essendo vedova, si rimaritò. Ma, negli atti matrimoniali del tempo di Dante, innumerevoli volte è ripetuta la formula anulando praefatus eandem, inanellando egli lei, “ data per compagna all'altra consentire in lei per sua sposa, che è appunto il dantesco disposare; atti simultanei, e l'uno compimento dell'altro „. Conchiude egregiamente il Del Lungo: "Spezzando, così mal a proposito, l'unità della locuzione dantesca, che bene i nostri predecessori sentirono, quando inanellata definirono dar l'anello sposando, si tolgono a quel pria le lacrime

e i ricordi di cui è pieno, nel cuor della donna che ripensa le prime dolcezze del matrimonio suo tragico, e vi si sostituisce una dichiarazione di stato civile „. È critica estetica, di quella buona, che piace veder andare di conserva con il metodo storico.

Se non la cronaca, l'albero genealogico di Salimbene avrei veduto con piacere ricordato dal Rajna nel VII de' Contributi alla storia dell'epopea e del romanzo medievale. L'illustre critico prende le mosse da un'osservazione giustissima: -" Sgorgando dalla vita stessa e pretendendosi riflesso della realtà anche più assai che non fosse, l'epopea franca non poteva non esser popolata di gente chiamata in gran parte non altrimenti che gli uomini e le donne del tempo. Moltissimi tra quei nomi, quando pure non fossero già passati in Italia, ebbero a passarci allorchè le conquiste di Pipino e di Carlo seminarono di Franchi la penisola. E s'intende che non rimanessero semplicemente tra coloro che appartenevan per sangue a cotale schiatta: essi vennero a propagarsi tutto all'intorno, allo stesso modo e per le cause stesse, sebbene non nel grado medesimo, com'era seguito antecedentemente fra le popolazioni romane dei territori gallici „. Ecco perchè egli ha dovuto" eliminare nomi su cui soprattutto si sarebbe desiderato. di poter fare assegnamento, perchè son quelli dei personaggi epici che dovettero esercitare sulle menti un'azione più viva, i Carli, i Rolandi ed Orlandi, i Buovi, i Rinaldi, gli Uggeri, ecc.; però egli stesso indica qualche caso, in cui il dubbio non è ammessibile. O dubiteremo noi - domanda quando ci si incontrerà in Olivieri che abbian messo nome Orlando a un figliuolo? Oppure quando, in una perga

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mena del 1145, vedremo chiamarsi Rolando ed Oliviero due fratelli?, No, e non possiamo dubitare alla lettura della genealogia di Salimbene, il cui bisa volo ebbe un figliuolo di nome Oliviero, dal quale nacque un Rolando: quest'ultimo non fu conosciuto dal frate, nato nel 1212, ond'è che Oliviero ci riconduce molto indietro nel secolo XII. Una sorella di Rolando, cugina di Salimbene, sposò Namiero de' Panizari, non indegno di far compagnia a' Namieri d'oltre Po, che le ricerche del Rajna hanno evocati dal silenzio delle loro sepolture dopo circa sette secoli.

Oliviero era nome italiano nel 1085, Gano nel 1040, Viviano nel 1030; allo stesso periodo risalgono i nomi di Altilia e di Drusiana: tutti gli altri- Adolfo, Ferragù, Fioravante, Galerano, Malagigi, Marsilio, Ogiero, Ospinello, Pinabello, Roncevalle, Turpino, ecc. appartengono ai secoli XII e XIII. Comunque, essi provano che non pochi poemi epici francesi del ciclo nazionale, " la Chanson de Roland, quella che potrebbe dirsi la Conquête de l'Espagne, il Mainet, il Beuve de Hanstone, l'Otinel, l'Ogier, la Chanson des Saisnes, il Flovent, il Floovent, la serie dei canti che hanno per eroe principale Guillaume au court Nez, l'Aiol, l'Aspremont, les Quatre Fils Aimon, e certo molt'altra roba ancora, s'eran diffusi di qua dalle Alpi, ed eran diventati parte cospicua del patrimonio ideale del nostro popolo preso nella sua totalità, sì da abbracciare così i grandi come gli umili „. E già nella prima metà del secolo XII, nel 1131, un documento della popolarità dell'epopea carolingia era eternato nel marmo dallo scalpellino, che incise, a Nepi, la menzione della turpissima morte di Ganellone, qui suos tradidit socios: al bel principio del Duecento, se non qualche anno prima, l'ignoto autore della de

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