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VIAGGI DI G. NACHTIGAL NEL SAHARA E NEL SUDAN 1

(1869-1874)

1

I. - Da Tripoli a Murzuk per Sokna. Preparativi pel viaggio al Tibesti2.

Dopo aver soggiornato per parecchi anni nella Tunisia, a fine di ristabilire la sua malferma salute, era il dott. Nachtigal in procinto di tornarsene in Germania, allorchè capitò a Tunisi Gerardo Rohlfs apportatore dei doni che il Re Guglielmo di Prussia avea stabilito d'inviare allo Sceich Omar, Sultano del Bornû, in ricambio dell'aiuto da lui generosamente prestato ai viaggiatori tedeschi, Barth, Overweg, Vogel, v. Beurmann ed al Rohlfs stesso. Desiderando il Rohlfs di trovare una persona adatta che volesse incaricarsi di accompagnare questi oggetti lungo il viaggio e consegnarli al Sultano a nome del regal donatore, parve al Nachtigal come un dovere di non lasciar sfuggire quest'occasione per appagare il suo ardente desiderio di visitare l'interno del misterioso continente africano, e pochi giorni dopo il Natale del 1868 andò a raggiungere Rohlfs a Tripoli, risoluto d'intraprendere l'avventuroso viaggio.

Ai 16 di febbraio tutto era pronto per la partenza ed il giorno dopo, caricati i cammelli, uscirono dalla città per la porta che guarda il mezzogiorno e si accamparono a mezz'ora di distanza nel centro d'un delizioso boschetto di gelsi, olivi ed aranci. Il seguito del Nachtigal si componeva del vecchio Mohammed el Qatrûni, che avea già accompagnato Barth a Timbuctu e Rohlfs a Bornù e Mandara, di tre negri, e d'un italiano, Giuseppe Valpreda, incaricato della cucina e dell'economia domestica.

Il giorno fu passato allegramente coi rappresentanti delle varie potenze d'Europa e gli altri amici che erano venuti da Tripoli a prender commiato dal viaggiatore; ma la notte il Nachtigal non potè quasi chiuder occhio, tormentato dal

Uno dei più importanti acquisti per la geografia africana si è quello fatto colla pubblicazione dell'aurea opera « Sahărâ und Sûdîn », in cui l'illustre esploratore tedesco dott. Gustavo NACHTIGAL descrive mirabilmente il suo grande viaggio tra Tripoli, il Sudan e la Nubia, presentando agli studiosi un quadro fedele delle osservazioni fatte e dei dati raccolti nel suo fruttifero viaggio di sei anni. L'importanza affatto eccezionale dell'opera mi ha indotto a darne un estratto nel « Cosmos », concentrando specialmente l'attenzione del lettore su quanto spetta più intimamente alla geografia delle regioni descritte. Le pagine che seguono riguardano il principio del primo volume dell'opera del Nachtigal, il solo sinora pubblicato nei fascicoli seguenti continuerò man mano il resoconto del viaggio, illustrandolo, quando se ne presenterà il bisogno, con carte ricavate dagli originali del viaggiatore.

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Generalmente ho mantenuto l'ortografia di Nachtigal, esprimendola colla pronuncia italiana. Un'eccezione ho fatto sin dapprincipio per Sokna, che Nachtigal scrive Sogna, mentre Rohlfs opina meglio debba scriversi con un k, giacchè l'ortografia araba del nome è di Sokna. GUIDO CORA,

2 V. per l'orientazione di questo capitolo la Tavola XII.

pensiero della patria lontana e dell'incerto avvenire a cui andava incontro. Finalmente il 18 febbraio 1869, montato sulla nave del deserto, prese arditamente le mosse attraverso la pianura sabbiosa, ben lungi dal prevedere che la sorte lo avrebbe trattenuto per più di cinque anni nelle sconosciute regioni a cui era diretto.

Due sono le strade che menano da Tripoli a Murzuq, capitale del Fezzân, una più corta che per Gebel Ghariân e Misda corre direttamente verso il sud, e l'altra più lunga, che da principio piega con un lungo giro verso oriente, ed è quella battuta di preferenza dalle carovane, nonostante la sua maggiore lunghezza, perchè è provvista d'acqua a regolari intervalli e passa per i centri popolosi di Beni Ulîd, Bû N'geim, Sokna e per le oasi del Fezzân.

Il mattino era fresco e sereno, quando la piccola carovana, passando dinanzi alla Mescîja ed al mausoleo (Qubba) di Ahmed el-Masrî, entrò nell'arida zona che circonda la città di Tripoli a breve distanza, e porta il nome di Gedrat elGellâba. Al di là di questa zona, camminarono per circa sei ore in direzione di S. S. E. su terreno piuttosto fertile sino alla regione Tobrâs, dove pernottarono.

Il giorno vegnente fecero circa 16 chilometri attraverso una pianura ben coltivata che produce orzo e frumento in discreta abbondanza, e piantarono le loro tende in un prato accanto al mausoleo (Qubba) di Sidi es-Sâjah. Cammin facendo, aveano ad oriente le regioni montuose di Mesellâta, a sud-ovest i monti Ghariân ed al sud e sud-est i monti Tarhûna.

Ai 20 di febbraio si vennero a poco a poco avvicinando a questi ultimi e seguendo il corso dell'Uadi Melrha, giunsero dopo otto ore di cammino alla sorgente del medesimo sul territorio dei Drâhîb e vi passarono la notte.

Toccarono poco dopo la cima più alta del monte che si allarga per lungo tratto come un piano ondulato, e volti sempre a sud-sud-est, scesero dall'altro lato per sentieri aridi e petrosi nella valle dell'Uadi Tenziwa e poscia in quella dell'U. el-Aqrabîja che da levante si estende verso ponente, e pe' suoi campi d'orzo e le erranti greggi fa assai gradevole impressione alla vista.

Il 22 di febbraio continuarono il loro viaggio di Uadi in Uadi e giunti sulle alture che dividono l'U. Ukirre dall'U. Qarâr ed-Darbuk, ecco sorgere in lontananza verso occidente i monti di Ghariân e più vicino dallo stesso alto il picco Halêjîn, mentre a nord-est torreggiavano vicini l'uno all'altro i due Terâfît.

Il giorno appresso, sesto del viaggio, dovea condurli a Beni Ulîd, ed infatti dopo una marcia di parecchie ore, giunti al termine d'un altipiano deserto e selvaggio, scorsero dall'alto nella valle sottoposta il Qasr di Beni Ulid e scesi al piano s'accamparono all'ombra d'un boschetto d'olivi, contenti di aver superata felicemente la prima tappa senza danno nè delle persone nè dei cammelli. E la stagione anche li favoriva, la temperatura al mattino prima del levar del sole essendo di soli 6o, 6 C. e nelle ore più calde del giorno non oltrepassando i 22o, 7.

La valle di Beni Ulid al sito dell'attendamento era larga 700 passi e per un tratto di quattro leghe era seminata di alberi d'olivi, di fichi e di prune che formavano la ricchezza di 45 villaggi, scaglionati lungo i due versanti.

Il 25 febbraio, tolto commiato dal Governatore e dal Comandante del castello, ripresero via per la campagna pietrosa e deserta del giorno antecedente e dopo nove ore di cammino fecero alto sulla sponda settentrionale del Sôfegin, presso la foce dell'Uadi el-Amirîja. La pianura del Sôfegin fu il teatro principale dei sanguinosi combattimenti tra gli Aulâd Solîmân ed i Tarbûna, e numerosi cumuli di pietre rendono anche oggidì testimonianza delle vittime mietute in quelle contese.

Il 26 febbraio passarono gli Uadi Omm el-Hibâl, el-Uzra ed el-Asâfa, e salite le alture dalle quali i medesimi traggono origine, dopo otto ore di marcia verso sud-est, andarono ad accamparsi sul versante opposto nel letto dell'Uadi Nefeid che trovarono coperto intieramente di acacie e di cespugli di Gedâri. Negli ultimi giorni del mese traversarono l'U. Zemzem e l'U. Bei ed il 2 di marzo giunsero finalmente a Bû N'geim, il luogo più settentrionale della provincia del Fezzân. Il sito, col suo castello in rovina in mezzo alla nuda campagna, empie l'animo di tristezza, e lo squallore del quadro era in quel momento accresciuto dal vento impetuoso che soffiava da occidente, il quale, empiendo l'atmosfera di sabbia e di polvere, nascondeva gli oggetti sotto un denso velo giallastro.

Il vento tacque alla sera, ma il mattino dopo si levò di nuovo colla stessa violenza. La scarsa vegetazione andò facendosi sempre più rara; come spettri spuntavano nel nebbioso aere le dune ed i massi, e uomini ed animali lottavano silenziosi contro la veemenza della bufera. Nulla segnava ai viaggiatori la via, finchè alcune ore dopo videro apparire all'orizzonte una collina chiamata Kelâja e più oltre, in cima ad un colle, un masso rotondo gigantesco a cui gli abitanti danno per la sua forma il nome di el-Bazîna.

Il giorno seguente la campagna cangiò intieramente di aspetto per l'incontro di varie catene di colli che bisognò valicare una dopo l'altra, e coll'elevarsi del suolo anche la vegetazione tornò a crescere e le mandre di cammelli attestavano la vicinanza dell'uomo. Gli abitanti di quelle regioni appartengono alla tribù degli Urfilla, e siccome vi è grandissima penuria d'acqua, non vivono che di latte.

Ai 5 di marzo passarono il Churmat et-Tuzizzet e tosto entrarono in una landa deserta, sparsa di pietruzze affilate in mille forme diverse e priva di ogni vegetazione, che gli arabi chiamano Serîr, ovvero Hammada, quando le pietre sono più grandi ed il piano trovasi ad una maggiore elevazione. Dopo otto ore di cammino, traversarono l'Uadi Zêmam, che da occidente corre verso levante ed all'estremità del medesimo vedevano a ponente elevarsi una catena di monti che dà origine non solo all'Uadi Zêmam, ma anche agli altri in cui s'imbatterono il giorno dopo. E risalito tra essi quello che ha nome Talha Bû Tobel sino alla sua sorgente, s'attendarono nel Churmat et-Târ in prossimità d'un pozzo. Procedendo verso il sud, si trovarono ben presto dall'altro lato della catena e dinanzi a loro scorgevano due bellissimi gruppi di monti, il Gebel Hamôra ed il Gebel Tûrîrîn che segnano da un lato i limiti del piano di Sokna (il quale porta il nome di el-Giofra), mentre dall'altro spiccano le brune cime del Gebel es-Soda.

Quanto più si avvicinavano alla città di Sokna, tanto più frequenti erano le tracce di abitanti e gli abitanti stessi. I più erano Urfilla ed alcuni provenivano

anche da Hûn. Il giorno era caldo e l'atmosfera limpida e trasparente, e ciò aumentava del doppio la bellezza del quadro col Gebel Tûrîrîn a sud-est ed un colle di sabbia rivestito di palme dalla parte di mezzogiorno. Al piede di esso trovansi due pozzi di acqua viva e chiamasi el-Hamâm dalla gran copia di colombi che vi svolazzano intorno. Un altro colle simile a breve distanza nascondeva ai viaggiatori la vista della città, e quando l'ebbero superato, ecco Sokna giacere ai loro piedi col suo castello gigantesco, alcuni minareti, le sue mura e le sue torri.

La città ha la forma di un ettagono oblungo col lato maggiore volto verso ponente. Essa è munita di trentadue bastioni nel giro delle mura con sette porte, e contiene circa tremila abitanti. I giardini intorno alla città vengono coltivati con molta cura, ed oltre al grano ed all'orzo vi crescono varie specie di ortaggi e di alberi da frutta.

Tre giorni rimasero a Sokna, costrettivi da un vento australe fortissimo che aveva empita l'aria di polvere ed elevata la temperatura a 43° C.; il 12 marzo si riposero in marcia e dopo poche ore cambiarono direzione, volgendosi verso sud-ovest. A ponente ergevasi il cono isolato Qâret er-Rîăh, e ad oriente stendevasi parallelo alla strada da N. E. a S. O. il gruppo di monti Bû Sciqfa.

Tra questi monti ed il Gebel es-Sôda havvi una specie di bacino nel quale si raccolgono tutte le acque che scendono dal sud, dall'est e dall'ovest prima di arrivare al piano di Sokna. Per questa valle, che porta il nome significativo di el-Melâqi, ossia l'adunatrice, s'inerpicarono alla volta della bocca del passo e dopo otto ore di marcia fecero alto al Bîr Godefa all'ombra di un grand'albero di acacia Sajâla. Questo pozzo, che contiene acqua eccellente alla profondità di circa 5 metri, trovasi a 500 metri al di sopra del mare e 200 quasi più in alto del piano di Sokna.

Il giorno dopo, salito l'erto declivio del Dahăr-el-Mûmin, in poche ore raggiunsero la sommità del passo che si eleva circa 700 metri al disopra del livello del mare. Dall'altro lato la discesa è assai rapida, cosicchè in brev'ora calarono al piano, e pernottarono nel letto dell'U. Bû'l-Hascîm.

Nei giorni seguenti non solo l'acqua incominciò a mancare, ma anche il foraggio pei cammelli. Li 15 di marzo traversarono una pianura bruna, detta dal suo colore Maiteba Sôda e giunti all'estremità della medesima, venne loro veduta verso occidente una catena di colline, chiamata Qoff el-Gharbî e più lungi verso nord-est un'altra detta Qoff esch-Scerqî.

Valicato finalmente il Qoff el-Garbî, entrarono nel vasto Serîr di Ben Afien che si allarga per lo spazio di cinque ore di marcia, ed in uniformità supera tutti gli altri incontrati sin allora durante il viaggio. Dovunque girassero lo sguardo, non vedevano cosa viva e dinanzi di loro avevano l'immagine perfetta del vuoto e dell'infinito. Il terribile aspetto di questa immensità era accresciuto dagli impetuosi buffi di vento, che oscurando l'aere, li fecero deviare dal loro cammino.

Il cielo più limpido del giorno vegnente mostrò loro una catena lontana di colli sabbiosi, conosciuti col nome di Ramla el-Kebîra, e poterono così orientarsi e rimettersi sulla retta via.

Per dieci ore errarono in quella solitudine sino ad un punto al di là del Musallâ es-Sultân (oratorio del re), dove si fermarono per riposarsi dalle fatiche del viaggio.

Il 17 marzo era il quinto giorno dopo la loro partenza da Sokna e quello in cui doveva aver termine la penuria d'acqua, entrando nella valle di Omm elAbid (madre dello schiavo).

Infatti, dopo che ebbero oltrepassato le alture chiamate Ruîs el-Bâbûsci, la vegetazione incominciò a farsi più rigogliosa e raggiunse il più alto punto nella sospirata Hattîja Omm el-Habîd colle sue palme dattilifere, i suoi tamarischi, i suoi pascoli e le copiose sue acque. Quivi Nachtigal coi compagni, dopo sette ore di cammino, pose le sue tende nel fondo della valle al margine di un pozzo chiamato 'Ain Omm el-Abîd.

Qui incomincia l'arcipelago delle oasi, che formano il Fezzân propriamente detto e si seguono l'una all'altra a brevi intervalli. E perciò dopo sole tre ore e mezzo trovavansi il giorno appresso tra i palmeti di Sirrhen, piccola città di 150 case con 800 a 1000 abitanti. A due ore al sud-sud-ovest di Sirrhen giace l'oasi di Semnu, al di là di un serîr solcato da una fila di colli di sabbia che segna il giusto mezzo tra le due città.

La cittaduzza di Semnu forma un quadrato irregolare, i cui lati sono volti ai quattro punti principali della rosa dei venti.

Le case sono più solidamente costruite che in Sirrhen ed essendo imbiancate, riescono più gradevoli alla vista. Al disopra delle medesime torreggia minaccioso il Qasr, un edificio quadrangolare, munito di torri ai quattro canti, e di feritoie al piano superiore. Si calcolano in Semnu all'incirca 250 case con 1200 a 1500 abitanti.

Gli abitanti vivono per lo più del prodotto dei loro giardini, che sono ben tenuti e diligentemente coltivati, ma nonostante ben lungi dal raggiungere la fecondità di quelli di Sokna.

La via di Temenhint, dove giunsero il 20 di marzo, piega verso occidente attraverso un piano sabbioso, sparso di cespugli chiamati Domrân che i cammelli mangiano con avidità. Temenhint abbraccia 133 case con 800 abitanti e spicca come un gioiello nel mezzo di un boschetto di palme pittorescamente disposto. Nel partire di là il giorno dopo, 21 marzo, mossero verso sud-ovest attraverso una bassura per nome et-Tuueisciât, e lasciato a nord-ovest il cono roccioso Qalaat el-Mâl, passarono l'U. el-Ghâzî camminando lungo la sponda sud-est. La campagna diveniva ad ogni passo più inospitale, la vegetazione più rada, finchè, dopo sei ore di marcia, dall'alto del G. Ben Arif si offrì ai loro sguardi una ampia valle cinta intorno intorno d'una zona di palme coi tre villaggi di Gedîd, Qarda e Hagiâra, che formano l'oasi di Sebha.

Gedîd è una città munita di mura, di torri e di alcuni minareti e fabbricata di pietra arenaria, calce ed argilia, ma non è nuova come il suo nome farebbe supporre (gedîd in arabo vuol dir nuovo). Presentemente conta 220 a 250 case, Qarda quasi lo stesso numero, mentre Hagiâra non ne ha più di 100. L'oasi che vien dopo sulla via di Murzûq, Rhodua, è lontana due giornate da Sebha. I viaggiatori traversarono, volti a sud-sud-ovest, il terreno sabbioso e salmastro dell'oasi di Sebha e dopo un'ora aveano oltrepassati i palmeti di

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