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De Bono, il quale nel 1854 risali più di ogni altro il fiume, spingendosi sul suo affluente di destra Bongiak sino a circa 7° 30' di latitudine nord.

Questi fatti così enunciati furono discussi brevemente sì nella prima, che nella seconda seduta (Torino, giugno 1877) del Comitato italiano, senza poi, da quanto mi consta, che essi siano stati sotto quell'aspetto menzionati nel processo verbale. Così uno dei risultati che il Comitato voleva ripromettersi, quello di consigliare efficacemente i nostri esploratori nei loro viaggi in Africa, riuscì vano. Infatti il Gessi, cui s'associò poi il dott. Pellegrino Matteucci, allesti ogni cosa per la spedizione a Fadasi e nel novembre dello scorso anno lasciò. definitivamente l'Egitto per cominciare il viaggio progettato.

Con tali ragionamenti io non voglio però conchiudere che l'esplorazione di Gessi e Matteucci sia stata veramente inutile per la geografia: là dove due osservatori così distinti passano, qualche nuovo fatto ci può sempre essere palesato; i nostri connazionali avranno fatto rettifiche, raccolto informazioni e probabilmente esplorato gl'immediati contorni di Fadasi sino al fiume Jabos, mentre il loro predecessore non sostava in quella località che due soli giorni, e più della geografia avrà ancora profittato l'etnografia per le ricerche del Matteucci, distinto cultore di quella scienza; ma io non posso trattenermi qui dal rimpiangere la cattiva scelta della direzione fatta all'atto della partenza dagli esploratori, che impiegando per altra via il peculio raccolto e l'energia dimostrata in quel viaggio avrebbero potuto fare progredire d'assai la geografia africana e legare il loro nome e quello della patria a qualche grande risultato geografico.

Speriamo però che questo avvenire sia loro ancora serbato: ripeto con piacere la voce che il Matteucci conta ripigliare, da solo o col compagno, la via del cuore dell'Africa. Intanto le collezioni ed i materiali recati ora in Italia varranno certo a rischiarare qualche controversia scientifica e fors'anco ad attenuare qualcuno dei fatti espressi in questa mia cicalata, che non vorrei fosse giudicata troppo severa e che fu soltanto dettata dalle mie convinzioni d'imparzialità scientifica.

Intanto credo utile riprodurre qui le più importanti fra le ultime lettere di Gessi e Matteucci, che porgeranno da se stesse una chiara idea delle difficoltà da essi incontrate e dell'impossibilità materiale in cui erano di superarle: esse ancora ci confortano perchè vi troviamo l'impronta del coraggio e della perseveranza dei nostri connazionali, che, costretti dalla dura legge degli eventi a cedere dinnanzi alla forza brutale, si ripiegano verso il nord senza però che in essi sia domato quel nobile sentimento che li spronava a cimentarsi colle schiatte africane e ad aprire alla scienza e alla civiltà nuovi orizzonti.

29 luglio 1878.

GUIDO CORA.

II. Lettere di Gessi e Matteucci.

1. Relazione sommaria del viaggio da Khartum a Fadasi. 1

Dalle rive del Jabos (due giorni da Fadasi nell'Africa centrale), 4 aprile 1878.

Una parola data vuole essere mantenuta; una lettera incominciata conviene. proseguirla; e posso proprio dire che la lettera che le diressi da Kartum era solo un esordio, una volta che ho assunto l'impegno di mantenere al corrente del nostro viaggio gli amici a mezzo del suo giornale; e poi da Kartum grandi novità non si potevano descrivere, perchè mi trovavo sopra un terreno troppo sfruttato da penne brillanti, e da scrittori di ogni nazione. La lettera d'oggi spero non chiuda il corso delle mie corrispondenze, perchè il cammino che dobbiamo percorrere è ancora lungo, e molto interessante; se vinceremo le difficoltà che in questa mia accennerò, non mi mancherà materia per cose nuove e palpitanti di attualità.

Fo una grande sintesi del nostro viaggio da Kartum a Fadasi, poichè minuti particolari abbiamo spedito al segretario del Comitato africano, ed a giornali che si occupano quasi esclusivamente di viaggi: ripetere tutto quanto ad altre direzioni fu scritto non può tornare accetto nè a' miei benevoli lettori nè a me stesso.

Partimmo da Kartum ai 24 gennaio un poco tardi, ma vi fummo costretti dalla necessità di attendere lettere commendatizie per le principali Muderie che si trovano sul Fiume Azurro fino a Fazoglu. Partendo, tenemmo la via del fiume sino a Karkog, come quella che si offre meno dispendiosa per il trasporto del bagagliume, e non molto lunga atteso la corrente favorevole dei venti.

Prima di Karkog non sostammo che in due punti: a Kamlin ed al Sennaar. Kamlin è un piccolo villaggio distante da Kartum poco più di due giorni, ed ha un interesse speciale pei suoi mercati che sono ricchi di ogni genere, e molto frequentati e per l'originalità delle sue case che non sono nè i Tukul (capanne) abitati dai selvaggi di tutta l'Africa centrale, nè le case di terra di Kartum che segnano un qualche grado di civiltà; sono una via di mezzo tra questi e quelle; si direbbe proprio che il viaggiatore si trova tra una società che muore ed una che nasce, tra l'avvenire ed il passato.

Da Kamlin al Sennaar impiegammo circa tre giorni, e ci parvero brevi per il continuo succedersi di aperti piani ricoperti di un verde cupo e rigoglioso; pianure, ove la natura ha sparso a piene mani i tesori della più lussureggiante vegetazione, ma inutilmente, perchè questi popoli nè sanno nè vogliono apprezzare i sorrisi della fortuna.

Il Sennaar, mi duole il dirlo, non è che un villaggio di poco oltre trecento Tukul, che costituiscono la sintesi di una grandezza passata, e della quale non

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Supplemento alla « Gazzetta del Popolo » di Torino, 4 luglio 1878.

esiste nè una pietra nè una sigla, tanto fu potente il tarlo del tempo, tanto ha potuto la poca sagacia dei conquistatori dei re Fungi.

Lo sapete meglio di me; il Sennaar ha tre istorie: ha quella che lo pone a capo della grande via di commercio con l'Etiopia ai tempi di Roma; ne ha una più recente, quella che ci dice che era la capitale dei re Fungi, e che conteneva circa duecento mila anime.

Di queste storie non esiste che la terza, la presente; è piuttosto una cronistoria dolorosa; essa vi dice, a mezzo mio, come si avveri con insistente costanza il fatto che le nazioni, giunte al loro culmine di gloria, ponno decadere al più basso livello.

Karkog invece, un villaggio nascosto tra le scogliere del Nilo, è pieno di vita: raccolto in se stesso, lavora attivamente coi commerci di gomma, di durra e di sesamo; e per questa sua proficua attività meriterebbe di essere più noto al mondo commerciale. Fu a Karkog che abbandonammo la via del fiume, e prendemmo la via di terra con cammelli sino a Fazoglu, o, per meglio dire, a Famaca. La via è piuttosto lunga e non sempre ridente; sette giorni di cammino tra boschi di acacie spinose, e di rade Adansoniæ digitatæ, non è la cosa più bella di questo mondo; ma anche essi passarono ed arrivammo a Fazoglu lieti di avere compiuto una via che dal lato geografico non ci presentava novità, e per noi, che aspiriamo sempre all'ignoto, riusciva molesta e monotona. Il nome vero della città è Famaca, e Fazoglu è il monte che le sta sopra: è una città di qualche importanza politica, perchè sede di un Mudir; e come prossima al confine del governo egiziano è fornita di numerosa guarnigione, ed è sgradito ostello a qualche centinaio di galeotti che trascinano le catene sotto l'incubo di una vicina morte e pel cattivo nutrimento, e per l'aria morbigena che assorbono nella loro muda. Il Mudir di Fazoglu, un giovane circasso, uomo dotto e cortese, una vera rarità per questi paesi, ci fu gentile di generosa ospitalità, e largo di quegli aiuti che erano nel suo limitato potere di accordarci. Il governo egiziano non tiene molto a vivere in buona concordia coi governi d'Europa, e cerca con ogni mezzo di spogliarsi di responsabilità; e di questo non so abbastanza lodarlo. In base di questa linea di condotta ha emanato alcune disposizioni sopra i viaggiatori che, attraversando il Sudan egiziano, sono diretti oltre la frontiera. dello Stato; in essa è detto che il viaggiatore deve essere avvertito dei pericoli che può incontrare, e deve firmare una dichiarazione che svincola da qualunque responsabilità il governo per quello che potesse succedergli di avverso oltre ai confini. A noi pure fu presentato l'atto, al quale apponemmo la nostra firma.

A Famaca ci occupammo a riordinare il bagaglio, e radunata una forte carovana partimmo alla volta di Benisciangale '. Ci era necessaria una forte carovana per respingere un possibile attacco di que' di Tabi che spesso discendono dai loro lontani abituri, e depredano ed assassinano carovane di Gelabi che trasportano mercanzie. Quei di Tabi sono decisamente funesti e costituiscono il terrore di tutti i villaggi che s'incontrano lungo la via, e delle carovane che si accingono a partire.

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Più correttamente Beni-Sciangol.

G. C.

Il governo egiziano farebbe opera meritoria a conquistarli; ma forse incontrerà gravi difficoltà per causa delle montane ed inaccessibili località che occupano. Noi fummo fortunati: in due notti di cammino, procedendo silenziosi e quasi alla sordina, come se fossimo noi i predoni, raggiungemmo le sponde del Tumat, un fiume che segna l'estremo limite ove quei di Tabi osano arrivare con le loro scorrerie. Da Famaca a Benisciangale la via è piuttosto difficile per un continuo succedersi di chor, piccoli torrenti scavati nel sasso dalla irruenza delle acque nel Karif, e per sentieri irti ed ingombri di sassi che sono la vera croce dei poveri cammelli. In molti punti però la via è supremamente pittoresca, e forse la vallata del Tumat si presterebbe per giovani e balde fantasie alla più brillante descrizione. La vallata del Tumat fu un tempo il campo aperto ai mineralisti d'Europa che vennero a studiare il modo di raccogliere l'oro che vi si trova sparso; ma sembra che concludessero nulla, a giudicare dal fatto che gli scavi furono sospesi, ed i minatori licenziati. L'oro però a dispetto della scienza da tavolino vi si trova, e forse in maggior copia di quello che non si possa credere. Non ho sott'occhio cifre ufficiali per enunciare fatti sicuri; ma se pensate che in questi paesi non corrono che verghe d'oro, che il contributo al governo viene pagato con questo prezioso metallo scavato dagli schiavi nella stagione piovosa nella vallata del Tumat, vi renderete persuaso di quello che ho detto.

Benisciangale è un villaggio che ha molto credito commerciale, forse più di quello che merita. È un villaggio disperso sopra quattro o cinque monti, e che lo si direbbe composto da poco più che trecento Tukul. Il commercio principale è quello del sale che, proveniente dal Galabat, viene diretto a Fadasi per essere acquistato dai Gallas che ne fanno compre vistose. A Benisciangale fummo Ospitati in un Tukul del Scek Hogali (il Scek del villaggio) e dovemmo provvedere ad un nuovo imballaggio del bagaglio, per superare le vie difficili che ci attendevano sulla strada di Fadasi. Per quanto a Benisciangale ci avessero detto che la strada era difficile, pure non avremmo mai pensato che fosse quale essa è in realtà. Non è possibile descriverla; è una via difficile per le capre e per gli asini, impossibile a cavalli e cammelli: sono sentieri male aperti tra mouti e burroni; sono torrenti profondi e scoscesi, scavati nel sasso dalle acque; sono immani pietre cadute dalle vette dei monti, ed accatastate sopra quel simulacro di via; è un avanzare pericoloso, è un cadere di sovente; e ciò per un bagaglio di piccola mole, perchè un bagaglio quale sarebbe necessario per una spedizione sopra punti lontani non è possibile trasportarlo; e noi dovemmo lasciare a Benisciangale molte casse, ed un piccolo organo che desideravamo di portare in dono al Sire di Kaffa.

Con la perdita di un tempo prezioso per una moltiplicità di cause insorte, giungemmo a Fadasi dopo otto giorni di cammino da Benisciangale, mentre non ne occorrono che tre, per chi viaggia senza bagaglio. Prima di Fadasi ci incontrammo collo Scek del villaggio, e fummo lieti di attendere che disbrigasse in un villaggio vicino un suo affare per entrare con lui nel paese che era da tanto tempo nei nostri desiderii, e che si trova alle porte della misteriosa regione dei Gallas. Pochi europei hanno veduto Fadasi; Marno nel 1870, ed io col Dr. Matteucci nel corrente anno. Marno in quell'anno vi giunse

dopo aver superate molte difficoltà, vi giunse coll'intenzione di penetrare tra i Gallas; ma male accolto in Fadasi stesso, dopo due giorni di permanenza, fu costretto ad abbandonare il villaggio. Noi, la Dio mercè, vi giungemmo accompagnati da buona fortuna, e fummo accolti senza ostilità.

L'importanza commerciale di Fadasi è forte, atteso il genere di commercio che qui si esercita coi Gallas. Voi sapete che i Gallas si trovano sprovvisti di sale, e per la loro topografia sono costretti a provvederlo in tre punti egualmente lontani dal loro centro. Fadasi è uno di questi; vi affluiscono numerosissimi i Gallas; e per arrivarvi trascurano i mille pericoli che incontrano sulla via, attese le ostilità gravi che a loro oppongono le tribù degli Amam Niger1 che, nomadi, occupano la destra e sinistra riva del Jabos.

Gli Amam sono il vero terrore di questi paesi: numerosi, forti, indisciplinati, vivono di rapina e di massacri; riottosi a qualunque legge, crudeli tra i più feroci, essi attendono assiepati nelle grandi piantagioni di erbe naturali l'arrivo delle carovane dei Gallas; ed all'impensata, senza persino l'onore di una intimazione, cacciano nel petto dei Gallas un'enorme lancia, si rendono padroni del sale, e fuggono nei loro tuguri per ridiscendere in aspettativa di nuovi arrivi. È difficile che una carovana possa andare e venire da Fadasi senza un qualche inconveniente. I Gallas hanno sortito dalla natura una doppia indole; mentre nei loro paesi sono valorosi e battaglieri, fuori di casa, lontani dalle loro donne, sembrano uomini perduti, e nel momento solenne della lotta per l'esistenza, quando il freddo ferro dei feroci Amam sta per troncare la loro esistenza, gettano dalle spalle il prezioso fardello di sale e fuggono, fuggono senza mai pensare ad una virile difesa; e questa molte volte vincerebbe gli Amam, che si fanno grandi appunto tanto quanto gli altri sono poveri di animo.

A noi pure toccherà la triste sorte di cimentarci con gli Amam per ottenere un passaggio attraverso il loro territorio, se all'ultima ora non faranno presa nel loro cuore le offerte di donativi che siamo pronti di esibire ai capi perchè ci rendano sicuro il passaggio. La posizione nostra è certamente critica; da una parte vi sono le gravi ostilità degli Amam, dall'altra vi è la trepidazione che ha invaso l'animo fanciullesco dei Gallas che vedono in noi, non due esploratori diretti a Kaffa per incontrare gli amici provenienti dallo Scioa, ma due emissari del governo turco (egiziano) che sono diretti alle loro terre per vederle, studiarle e poi conquistarle. Questo timore fa loro dire che non vogliono a prezzo di nessun donativo che noi entriamo; non ci mancherebbe altro che avere anche i Gallas contrari in questa via che presenta tante e poderose difficoltà; in questa via in cui quasi disperiamo di un successo, perchè vediamo che i giorni passano ed il Karif con le sue insistenti pioggie ha ridotto questa ridente vallata del Jabos ad una vera palude. Pochi giorni ancora e sapremo se saremo vincitori o perdenti; però non abbandoneremo l'impresa prima di avere adempito quanto è necessario per avere la coscienza tranquilla, qualunque sia l'esito finale. Se prima d'ora avessimo conosciuto le condizioni di questo paese, se fossimo stati edotti delle gravi difficoltà che s'incontrano, non avremmo certo persistito nel

1 Si legga piuttosto Negri Amam (Amam Neger di Marno).

G. C.

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