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Questi terreni chiamati savane, sono rivestiti di graminacee che servono a nutrire il bestiame che vi pascola dentro liberamente. Le savane occupano i luoghi bassi delle Guiane vicino al littorale; noi non ne abbiamo incontrata che una sola nell'interno, presso il villaggio di Cotica nel paese dei Boni. Pochi si fanno un'idea esatta della foresta equatoriale.

I pittori ed i novellieri hanno abituato il pubblico a vedere in queste foreste dei palmizi senza numero, degli alberi di forme bizzarre, coperti di piante parassite e legati da liane che corrono da un ramo all'altro come il sartiame tra gli alberi d'un naviglio.

Questa descrizione non è vera, fuorchè nelle piccole isole lungo la costa della Guiana nelle rive dei fiumi a breve distanza dalla foce.

La foresta vergine, il gran bosco come è chiamato in Guiana, ha un aspetto freddo e severo. Mille colonne dell'altezza di 35 a 40 metri si elevano al disopra delle vostre teste per sostenere una volta di verzura che intercetta quasi intieramente i raggi del sole. Ai vostri piedi non vedete un filo d'erba, ma solo alcuni alberi sottili e sparuti che hanno fretta di raggiungere l'altezza dei loro vicini per dividere con essi l'aria e la luce di cui sembrano aver stretto bisogno. Spesso queste colonne, troppo deboli per resistere alle tempeste, sono sorrette da una specie di puntelli o grucce simili a quelle dei monumenti gotici, a cui gli indigeni danno il nome di arcabas.

Sul suolo, meno alcune felci ed altre piante senza fiori, non giacciono che foglie appassite e ramoscelli morti coverti di muffa.

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L'aria fa difetto, vi si sente la febbre • ", come diceva uno dei miei compagni. La vita sembra aver abbandonato la terra per trasportarsi nelle alture, su quella volta frondosa che forma la cupola di quest' immensa cattedrale sorretta da milioni di colonne.

Lassù all'altezza di 40 metri vedete correr le scimmie; di lassù scendono i canti di migliaia di uccelli vestiti di ricchissime e vaghissime penne.

Al livello dei corsi d'acqua la vegetazione perde la sua austerità e diviene sommamente elegante e pittoresca.

Là il sole è l'appannaggio dei grandi, che si affrettano ad uscirgli incontro per accaparrarlo. Qui i più piccoli hanno la loro porzione di calore e di luce. Le erbe, gli arboscelli raggiungendo il loro ultimo grado di sviluppo sono coperti di fiori e di frutta che smagliano per la fulgidezza de' loro colori. L'orrido fungo, l'oscura felce cedono il posto a piante parassite dalle foglie variopinte e dai fiori fini e vistosi.

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La catena dei Tumuc-humac che separa i bacini del Maroni e dell'Jary è meno importante di quel che generalmente si credeva. Il barometro non ci ha indicate altezze che superino i 400 metri al disopra del livello del mare. Queste montagne sono così poco elevate che la temperatura sulle cime, secondo le nostre osservazioni, non è che di 2 a 3 gradi maggiore di quella della pianura. La vegetazione dei punti più alti è quella della zona torrida.

L'ananasso, che i Rucuienni chiamano nana cresce spontaneamente sulla vetta di questi monti.

Le popolazioni della Guiana Francese considerano generalmente la catena dei Tumuc-humac come l'unica sorgente dei depositi auriferi che si trovano oggigiorno in tutti i fiumi del paese.

L'esame dei due campi auriferi stabiliti sul corso del Maroni ci ha permesso di accertare i fatti seguenti: .

1o Le roccie che si incontrano nei torrenti auriferi sono identiche a quelle delle montagne vicine.

2o Le montagne in prossimità dei torrenti sono composte di roccie che racchiudono dell'oro.

3° Dei torrenti carichi d'oro, ed il cui letto è già colmato, non rimontano che ad un'epoca affatto recente. Le prove di ciò sono molte e la prima si è che havvi degli alberi tuttora in vita, i quali furono testimoni del deposito dell'oro. In fatti, la quantità più considerevole di questo metallo trovasi accumulata attorno alle loro radici.

Dall'altro canto il sig. Cazale ha trovato una scure di pietra degli Indiani moderni immediatamente al disotto dello strato aurifero nel letto colmato d'un piccolo corso d'acqua che fa capo al torrente Sparuini. Queste osservazioni sono al tutto e per tutto in contraddizione colla teoria che pone l'origine di tutto l'oro delle Guiane nella catena dei monti Tumuc-humac.

L'oro dei torrenti non proviene propriamente che dalla disgregazione delle montagne che formano il loro bacino. L'ipotesi di un diluvio è assolutamente inutile per ispiegare i depositi auriferi, perchè ogni giorno vediamo rinnovarsi il fenomeno col semplice intervento della pioggia. Noi ammettiamo che ogni montagna che contiene dell'oro è una sorgente isolata ed indipendente che versa questo metallo nei corsi d'acqua più vicini. Il disgregamento continuo delle roccie per opera delle pioggie ed anche per quella delle radici dei grandi alberi dalle quali il suolo riceve l'ossigeno, cioè l'agente distruttore per eccellenza delle roccie, forma ogni giorno nuovi depositi auriferi che impediscono ai minatori di annientare per sempre la produzione dell'oro delle alluvioni della Guiana.

I monti Tumuc-humac sono formati da terreni primitivi assolutamente identici a quelli che forniscono l'oro della bassa Guiana; v'è ogni ragione di credere che siano ricchi di prodotti auriferi.

La scavazione delle alluvioni che trovansi ai piedi di queste montagne non presentano che una sola difficoltà, ed è la lunghezza del tragitto pel trasporto degli operai e dei viveri. Non si richiedono meno di 33 giorni di marcia ad 8 ore al giorno per rimontare il fiume Maroni sino alla stazione situata all'estremità superiore del sentiero degl'Indiani.

Quel che vi ha di arduo in questo lungo tragitto si è che il paese è quasi deserto. Le popolazioni indigene, Negri, Paramaka, Poligudu, Boni ed Indiani Rucuienni sono poco numerosi e raccolti entro spazi assai ristretti. Si remiga sino a 15 giorni di seguito senza incontrare una sola abitazione per rinnovare le proprie provviste.

I minatori della Guiana oltrepasseranno un giorno i terreni d'alluvione per andare a scavar l'oro nei filoni della catena dei monti, come si fa attualmente

nell'alto Orenoco. Un minatore che ha lavorato in quelle scavazioni ci ha assicurato che le roccie dell'interno della Guiana Inglese sono identiche a quelle che abbiamo descritte delle Guiane Francese od Olandese. La natura dei terreni essendo simile, si può esser quasi certi di trovarvi egualmente dei filoni di metalli preziosi. Noi raccomandiamo ai cercatori d'oro di non lasciarsi illudere dagli Indiani, che nei loro racconti fantastici confondono le pagliuzze di mica con l'oro.

Non v'ha dubbio che la leggenda dell' Eldorado trae la sua origine dall'esistenza di grotte formate da roccie micacee. L'uomo dorato, in lingua spagnuola el dorado, si spruzzava i capelli ed il corpo, non di pagliuzze d'oro, ma di quella polvere che tutti conoscono sotto il nome di sabbia d'oro o d'oro delle scimmie e che i Negri della costa indicano colla denominazione pittoresca di (caca sole».

Indiani eccitati da liquori spiritosi e premurati da viaggiatori avidi del prezioso metallo hanno raccontato che l'uomo dorato abitava un palazzo le cui mura erano d'oro massiccio. Gli esploratori troveranno uno di questi tempii sulle rive del torrente Curuapi, tributario del fiume Jary. La loro illusione svanirà quando vedranno che si tratta semplicemente d'un grande scavo d'una vera grotta le cui pareti sono formate da roccie micacee. Quando il sole penetra in quest'antro oscuro, si veggono le pareti interne brillare d'un vivo splendore per la riflessione dei raggi solari sulle migliaia di pagliuzze di mica che rilu

cono come oro.

Numerosi tentativi sono stati fatti per esplorare la Guiana dal 16° secolo sino ai nostri giorni. Quasi tutti i nostri antecessori, lord Raleigh per il primo, non avevano altro scopo che di far fortuna nel paese dell'uomo dorato, el dorado. I geografi del 17° secolo, Simon d'Abbéville tra gli altri, in una carta che ognuno può esaminare presso la Società geografica di Parigi, ponevano il paese dell'Eldorado verso le sorgenti del Maroni.

A detta degli antichi geografi, noi dovevamo trovare sopra un'altipiano della catena di Tumuc-humac un gran lago, un vero mare interno, segnalato col nome di Parimé. Sulle sponde di questa massa d'acqua sorgeva la superba città di Menoa nel mezzo della quale brillava il palazzo dell' Eldorado custodito da migliaia dei più terribili e più mostruosi animali.

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Vi ho già detto che l' Eldorado non era che un miserabile capo Indiano che si spargeva il corpo di sabbia d'oro e che il suo paese non era che una grotta scavata entro rocce micacee.

Quanto al famoso lago Parimé, esso non era che un'inondazione che si rinnova ogni anno nei terreni d'alluvione che si stendono ai piedi della catena dei monti. Verso la metà della stagione delle piogge, la piena delle acque è talmente considerevole che il suolo è ricoperto per un immenso tratto da uno strato di acqua che permette agli Indiani di circolare colle loro piroghe nel mezzo della foresta.

Questa leggenda che ha fatto il giro del mondo incivilito, ha servito di sprone ai cercatori d'oro che dopo tre secoli d'infruttuose ricerche hanno trovato il prezioso metallo in tutti i fiumi della Guiana Francese.

GIULIO CREVAUX.

SPEDIZIONE GESSI-MATTEUCCI A FADASI, 1878

I. Cenni critici preliminari.

Il 24 gennaio del corrente anno i signori cap. R. Gessi e dott. P. Matteucci lasciavano Khartum rimontando il Nilo Azzurro per seguirlo sino a Fazoglo e di là avviarsi pel territorio di Beni Sciangol su Fadasi, mercato importante del commercio Galla, d'onde speravano dirigersi sul regno di Kaffa, per ricongiungersi ivi possibilmente ai sigg. cap. Cecchi e ing. Chiarini, membri della Spedizione Italiana nell'Africa Equatoriale diretta dall'Antinori, i quali si riteneva avessero lasciato lo Scioa per dirigersi verso il sud-ovest. I predetti viaggiatori volevano seguire a un dipresso la via di Marno, oltrepassando però il punto estremo da questi toccato (Fadasi) e rivelando alla geografia africana una striscia considerevole di terreno inesplorato nell'alto bacino del Sobat.

Ma l'esito non fu pari all'ardire e alle speranze concepite: Gessi e Matteucci, dopo circa due mesi di soggiorno a Fadasi (marzo-aprile) dovettero retrocedere su Khartum, senza aver potuto vincere le difficoltà innumerevoli suscitate dalle popolazioni che stanno tra le rive dell'Iabos e Kaffa. A principio di luglio Matteucci era di ritorno a Suez, d'onde ripartiva tosto per Alessandria e Napoli, recando seco i frutti della sua peregrinazione, lasciando invece a Khartum il suo compagno Gessi.

Sono sicuro che questo insuccesso non iscoraggierà i due arditi viaggiatori, ed anzi già si parla di un nuovo tentativo che faranno onde giungere per altra via alla desiata meta; il ritorno del Matteucci avrebbe questo scopo ed il nostro Comitato africano unitamente alla Società geografica lo aiuteranno per raggiungere tale intento credo però che questa esperienza li renderà più guardinghi nella scelta del loro nuovo itinerario, preparandoli meglio collo studio delle precedenti esplorazioni alla perlustrazione del paese ove vorranno internarsi. Non è mia intenzione di lanciare un voto di biasimo sulla linea di condotta da essi tenuta durante il loro viaggio, rendendo loro così più penoso lo smacco avuto è mia intenzione però di accennare a talune considerazioni, che, ove avessero trovato maggior attenzione quando furono enunciate, avrebbero forse cambiato l'esito della spedizione Gessi-Matteucci, dirigendola per altre vie meno note, che maggior probabilità avevano di condurla al successo.

Allorchè nella prima seduta del Comitato africano italiano, presieduto allora con tanta perizia da S. A. R. il Principe di Piemonte, fu discusso il concorso che l'Italia avrebbe recato all'opera civilizzatrice iniziata dal Re dei Belgi, si posero

innanzi i lavori progettati dalla Spedizione nostra allo Scioa, poi le esplorazioni che dovevano tentare il Piaggia e Gessi. Aperta con acconcie parole dall'Augusto Presidente la discussione, venne esposto il progetto del cap. Gessi, cui poi s'associò il dott. Matteucci, di avviarsi su Kaffa per la via di Fazoglo e Fadasi. Lo scrivente, che da parecchi anni attende a studi speciali sulla geografia africana e che dell'equatoriale sta preparando una gran carta speciale, espose talune sue idee tratte dallo studio delle esplorazioni anteriori, aventi per iscopo di mostrare quanto poco adatta fosse quella via per raggiungere lo scopo prefisso. Infatti il viaggiatore Marno, che pel primo si spinse da Beni Sciangol a Fadasi nell'aprile 1870, riferisce partitamente gli ostacoli insormontabili che si oppongono a procedere oltre verso il sud, da lui incontrati e che per altri, nelle condizioni attuali, dovevano pure verificarsi. L'autorità di un esploratore tanto conosciuto e stimato per le sue perlustrazioni geografiche nell'Africa equatoriale, mi pareva dovesse fornire sufficiente prova acciò un altro tentativo verso quel lato avesse ad essere rigettato. A questa ragione un'altra poi s'aggiungeva e di non minor conto per ogni esploratore. La via indicata da Gessi per la maggior parte del suo sviluppo è stata percorsa e rilevata da molti viaggiatori con tutta la diligenza che si può richiedere in simili operazioni scientifiche, tanto che tutta la striscia tra Khartum e il corso superiore del Tumat è uno dei tratti meglio noti, cartograficamente, dell'Africa interna: ivi nell'intiero secolo che decorre dal viaggio di Bruce (1770) a quello di Marno una numerosa falange di esploratori ha studiato ogni tratto del paese, notandovi fra i principali i nomi di Cailliaud (1821-22), Russegger (1837-38), Trémaux (1848), Barnim e Hartmann (1860), Léjan (1862), Baker (1862), Heuglin e Steudner (1862-63), Pruyssenaere (1859-64): nè mancano gl'italiani, benchè i loro studii siano poco. conosciuti, e tra essi sono a citarsi Beltrame, che sta ora preparando la relazione del suo viaggio a Fazoglo e Beni Sciangol, ed Antinori (1859-1860). Da Beni Sciangol verso il sud la regione fu esplorata verso il 10° parallelo nord da Trémaux, che rilevò minutamente il corso del fiume Tumat, e sino a Fadasi dal Marno, nel viaggio già citato. Con tanta copia di esplorazioni e di rilievi io obbiettava che poco sarebbe rimasto a fare per la geografia da una spedizione italiana diretta a Fadasi, ammesso, com'era probabile e come avvenne, che la via al sud fosse chiusa dagl'indigeni.

Due vie invece si presentavano più acconcie per eseguire importanti scoperte geografiche, di cui la prima, consigliata dal Piaggia, doveva praticarsi attraverso all'Abissinia all'incirca da nord a sud, e la seconda, verso la quale inclinavo piuttosto per la sua grande importanza geografica, tendeva a rimontare il Sobat o qualcuno de' suoi rami principali. Per la via dell'Abissinia erano di molto valore le raccomandazioni di Carlo Piaggia, conosciuto assai in quella regione e che de' suoi usi è praticissimo, ond'egli s'offriva spontaneo a guidarvi un esploratore scientifico: nella direzione del Sobat il viaggiatore avrebbe potuto compire certamente notevoli scoperte, giacchè di quel fiume non si conosce che un tratto del corso inferiore tra la confluenza e la stazione egizia di Nasser, rilevato successivamente dalla seconda spedizione egizia sotto Werne (1841), da Pruyssenaere (1862), da Junker (1876), e visitato anche dall'italiano Andrea

GUIDO CORA, Cosmos, vol. 5o, 1878, fasc. I.

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