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tonsi

nec lupus insidias pecori, nec retia cervis.

ulla dolum meditantur; amat bonus otia Daphnis.
ipsi laetitia voces ad sidera iactant

intonsi montes; ipsae iam carmina rupes,

ipsa sonant arbusta: « deus, deus ille, Menalca! ».
sis bonus o felixque tuis! en quattuor aras:
ecce duas tibi, Daphni, duas altaria Phoebo.

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60

65

62. ipsi

63, 64. in

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carmina

ninfe usa il termine Hamadryades. 60. Similmente Teocrito in Idyll., XXIV, 85 seg., alludendo al tempo in cui Ercole sarà assunto in cielo, dice: « ἔσται δὴ τοῦτ ̓ ἅμαρ, ὁπηνίκα νεβρὸν ἐν εὐνᾷ | καρχαρόδων σίνεσθαι ἰδὼν λύκος οὐκ ἐθελήσει. Cfr. del resto Georg., III, 537 seg. 61. meditantur ha qui un significato analogo a quello di cui s'è discorso ad Ecl., I, 2, valendo per parant, struunt e sim. bonus. Cfr. sotto la nota al v. 65. otia. Cfr. Ecl., 1, 6. vale qui etiam, adeo e sim., cioè il nostro « persino ». silvosi, incaedui (Servio). Similmente Aen., IX, 681 seg.: consurgunt geminae quercus intonsaque caelo | attollunt capita. rupes... sonant, cioè edunt, canunt. Cfr. Oraz., Epod., IX, 5: sonante mixtum tibiis carmen lyra; Tibull., I, 3, 60: dulce sonant tenui gutture carmen aves; Properz., III, 29 [II, 31], 16: Pythius in longa car mina veste sonal. arbusta. Cfr. la nota ad Ecl., I, 39. deus, deus ille, Menalca. Il vocativo Menalça fa parte della esclamazione entusiastica delle rupi e delle piante, che manifestano la loro gioia al poeta, il quale ne ripete le parole. Si vede quindi che il movimento del pensiero è ben diverso dal lucreziano (V, 8) deus ille fuit, deus, inclyte Memmi. 65. bonus ha qui, come sopra al v. 61, il significato di benignus. Cfr. Aen., XII, 646 seg.: vos o mihi manes | este boni; inoltre Orazio, IV, 2, 38; 5, 1 ecc. felix sta qui attivamente per qui facit felices, quindi propitius, come in Aen., 1, 330: sis felix, nostrumque leves quaecumque laborem. en si unisce qui coll' accusativo, come spesso in Plauto e Terenzio. Cicerone ne ha pure un esempio in Phil., V, 6, 15, se già non si debba leggere hem col Klotz. Cfr. del resto Dräger, Hist. Synt., 12, p. 398 seg. Virgilio usa il nom. in Aen., I, 461; IV, 597; V, 639; 672; ma può anche vedersi un accusativo in Aen., VIII, 612. Notiamo inoltre come nel v. seg. ad en si sostituisce ecce, esempio rarissimo, che fa riscontro ad un frammento della Frivolaria attribuita a Plauto (Plauti Fabb. deperditarum Fragmenta coll. F. Winter, p. 37; cfr. Varr.. L. L., VII, 58, ediz. Spengel'): Ubi rorarii estis? En sunt. Ubi sunt accensi? Ecce (dove però il Winter sopprime en e legge adsunt). Vedi anche Hand, Tursell., II, p. 367. 66. ecce duas [aras] tibi..., duas al taria. È questa la lezione dei migliori manoscritti. Ecco la spiegazione di Servio: feci... aras quattuor: tibi, o Daphni, do duas, et duas aras Apollini, quae sint altaria. novimus enim, aras et diis esse superis et inferis consecratas, altaria vero esse supernorum tantum deorum.... quae nunc dat Apollini, quasi deo: Daphnidi vero aras ponit: nam licet eum dixerit deum, tamen mortalem fuisse manifestum est. Veramente il poeta adoperò la prima volta ara in senso generico (en quat tuor aras v. prec.), poi in senso specifico coll'apposizione di altaria. Ad ogni modo ara si dice, secondo Servio, ma non sempre, dell'altare desti

pocula bina novo spumantia lacte quotannis
craterasque duo statuam tibi pinguis olivi,
et multo in primis hilarans convivia Baccho,
ante focum, si frigus erit, si messis, in umbra,

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70

Phoebo.

nato ad un eroe, mentre altare è quello che è destinato ad una divinità superna. Tuttavia Virgilio in Ecl., I, ora dice ara (v. 7) ora altaria (v. 43) l'altare sul quale Titiro sacrifica ad Ottaviano, collegando il primo vocabolo coll'idea di sacrificio sanguinoso, ed il secondo con l'idea del fuoco sacrificale. È falso quindi ciò che affermò taluno, che ara non si concilii con offerte sanguinose, come lo prova anche Lucr., IV, 1228 seg. multo sanguine maesti | conspergunt aras adolentque altaria donis; Tac., Ann., XIV, 30: cruore captivo adolere aras... fas habebant. Cfr. anche Aen., II, 202: taurum... mactabat ad aras, ove aras riguarda Nettuno, divinità primaria. Del resto altare era propriamente la parte superiore (mensa) dell'ara che significa l'altare in genere, come elevazione, sulla quale parte superiore si bruciavano le offerte sacrificali. Cfr. Servio a questo luogo: alii altaria eminentia ararum. Anche qui s'è voluto trovare una conferma dell'opinione che Virgilio in Dafni abbia cantato Cesare, data la coincidenza delle ferie pel natale di Giulio Cesare (12 luglio) coi ludi Apollinares che duravano dal 6 al 13 di luglio. Invece questo raccostamento di Dafni e di Apollo si può benissimo spiegare col fatto, che Apollo fu anche una divinità dei pastori (cfr. la nota sopra al v. 35); che in seguito alla morte di Dafni è Apollo fra gli dei quello il quale con Pale abbandona la terra (v. cit.); che Apollo è dio del canto ed il più indicato fra gli dei per proteggere i cultori della poesia e della musica pastorale (cfr. Ecl., III, 62 seg.: Et me Phoebus amat: Phoebo sua semper apud me | munera sunt, e la mia nota). 67. pocula bina, intendi due su ciascun' ara, mentre con craterasque duo (v. seg.) il poeta designa un cratere per ciascuna delle due are consacrate a Dafni. novo... lacte, latte fresco. Cfr. Ecl., II, 22. Vedi inoltre Teocr., Idyll., V, 53 seg.: σтασŵ dè кρητηρа μéɣav λευκοῖο γάλακτος | ταῖς Νύμφαις· στασῶ δὲ καὶ ἁδέος ἄλλον ἐλαίω (cfr. anche i vv. 58 seg.). 68. crateras acc. plur. alla greca. Cfr. la nota sopra al v. 59. Propriamente il crater era un vaso in cui si mescolavano insieme (κepávνuμι) vino ed acqua, dal quale il coppiere (pincerna, pocillator) prendeva di quel liquido così mescolato mediante una tazza (cyathus) con cui riempiva i bicchieri (pocula, calices ecc.) passandoli a ciascun convitato a tavola. Ma talvolta serviva di recipiente per altri liquidi, come qui, per l'olio (cfr. Aen., VI, 225). - Quanto a duo, ho seguito col Ribbeck la lezione dei codici Romano e Palatino seguita da Servio (duo vetuste dixit, ut ambo: VI, 18: nam saepe senex... ambo luserat: nam hodie hoc significatu duos et ambos dicimus) e da altri. olei olivis expressi. Cfr. Lucr., II, 392; Oraz., Sat., II, 4, 50 ecc. In questo senso è vocabolo poetico. Riguardo al genitivo determinativo cfr. la nota ad Ecl., IV, 24. 69. multo... Baccho. Cfr. Georg., II, 190 seg.: multoque fluentes | sufficiet Baccho vitis. Del resto, come Ceres per frumento (cfr. Georg., I, 297; Aen., 1, 177 ecc.), così frequentemente i poeti usano Bacchus per vino. Cfr. Georg., 1, 344; IV, 279 ecc.; Oráz., Od., III, 16, 34 ecc. Si noti poi che tutto questo passo sino al v. 73 è un'imitazione di Teocr., Idyll., VII, 63-72. 70. si equivale qui a cum, che leggesi più sotto

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olivi:

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vina novum fundam calathis Ariusia nectar.
cantabunt mihi Damoetas et Lyctius Aegon;
saltantis Satyros imitabitur Alphesiboeus.
haec tibi semper erunt, et cum sollemnia vota
reddemus Nymphis, et cum lustrabimus agros.

=

75

(v. 74 seg, dove si determinano appunto le due feste, corrispondenti a stagione diversa (frigus hiemps; messis aestas), nelle quali Menalca farà ogni anno libazioni lietamente solenni a Dafni con vino squi sitissimo (v. 71). Altri spiega si... si per sive... sive. Cfr. Plaut., Capt., I, 2, 5: si foris, si intus volent. Quanto a frigus, cfr. Ecl., II, 22. II tempo designato da messis è spiegato da Georg., I, 313 seg.: vel cum ruit imbriferum ver, spicea iam campis cum messis inhorruit ecc. Anche Plinio, H. N., XXII, 13, (15), 36; XXIV, 14, (74) usa messis, rispettivamente al plur. ed al sing., per indicare stagione.

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71. vina

Ariusia, vino. di Ariusia, regione sulla costa settentrionale dell'isola di Chio, da cui si traeva il più squisito dei vini della Grecia. Ed è per apposizione chiamato novum nectar sì per indicarne la impareggiabile squisitezza, come per designare che da poco tempo era conosciuto e gustato dai Romani alle loro mense. calathis. Propriamente il calathus era un paniere di vimini di cui vedi la descrizione ad Ecl., II, 46 nota; ma collo stesso nome si indicava talvolta anche una tazza per liquidi, molto probabilmente così chiamata per la sua rassomiglianza nella forma al canestro suddetto. Cfr. Georg., III, 402 (per latte); Marzial. (ediz. Friedländer), VIII, 6, 16; IX, 59, 15; specialmente XIV, 107 (per vino). 72. mihi, sottint. sacra facienti, cioè mentre farò le solenni libazioni a Dafni. Damoetas, Aegon, nomi di pastori. Il primo ricorre anche in Ecl., 11, 37, 39 ed Ecl., III: il secondo in Ecl., III, 2. Lyctius, di Lyctus, importante città di Creta. Anche Idomeneo è detto Lyctius in Aen., III, 401. Cfr. Ovid., Met., VII, 490: classis... Lyctia Cretensis. 73. sal. tantis Satyros imitabitur : saltabit Satyrorum more. Cfr. Georg., 1, 350, ove è prescritto che l'agricoltore nelle feste di Cerere det motus incompositos et carmina dicat. Queste danze satiriche e questi canti erano pure e specialmente parte del culto bacchico (cfr. sotto al v. 79), col quale sono inseparabilmente legati i Satyri, che rappresentavano le potenze vitali della natura in tutta la loro pienezza e compaiono spesso in antichi monumenti come compagni di Dionysos o Bacco. Appartengono alla mitologia greca. Del resto ha importanza la nota di Servio a questo passo: sane ut in religione saltaretur, haec ratio est, quod nullam maiores nostri partem corporis esse voluerunt, quae non sentiret religionem: nam cantus ad animum, saltatio ad mobilitatem pertinet corporis. Alphesiboeus, altro nome di pastore, che ricorre in Ecl., VIII, 1; 5; 62. 74, 75. haec tibi, semper erunt, intendi « tali sono gli onori che sempre ti renderemo ». cum sollemnia vota reddemus Nymphis. Si accenna probabilmente alle feste che si celebravano dopo la vendemmia (cfr. le mie note a Georg., II, 380 segg.) alla fine dell'autunno in onore di Liber pater (il Bacco italico), nella qual circostanza è verosimile che si tributassero onori anche alle Ninfe, come quelle che figurano eziandio nel culto di Bacco. Cfr. Oraz., Od., I, 1, 31: Nympharumque leves cum Satyris chori; II, 19, 1-4: Bacchum in remotis carmina ru pibus | vidi docentem, credite posteri, | Nymphasque discentes et aures]

dum iuga montis aper, fluvios dum piscis amabit,
dumque thymo pascentur apes, dum rore cicadae,
semper honos nomenque tuum laudesque manebunt.
ut Baccho Cererique, tibi sic vota quotannis
agricolae facient; damnabis tu quoque votis.

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Quae tibi, quae tali reddam pro carmine dona?
nam neque me tantum venientis sibilus Austri
nec percussa iuvant fluctu tam litora, nec quae
saxosas inter decurrunt flumina valles.

80

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-

cum

rore.

capripedum Satyrorum acutas, ecc. Certo non v'era una festa speciale
consacrata alle ninfe. Quanto a vota reddere per solvere, persolvere,
exsolvere, cfr. Cic., de Leg., II, 8, 22: Caute vota reddunto.
lustrabimus agros. Si allude alla festa detta Ambarvalia, nella quale si
facevano processioni espiatorie pei campi, in primavera avanzata, invo-
cando per le messi la protezione delle divinità campestri, e specialmente
di Cerere. Cfr. Georg., 1, 338 segg. Vedi anche la stupenda descrizione
che fa Tibullo II, 1. Resta quindi spiegato il verbo lustrare, che qui
significa, come spesso anche in prosa, circuire, peragrare e sim.
77. thymo. Cfr. Georg., IV, 112. E pianta gratissima alle api.
Credevano gli antichi che le cicale si nutrissero di rugiada. Cfr. Esiod.,
̓Ασπίς Ἡρακλ., 395: ᾧ [τέττιγι] τε πόσις καὶ βρῶσις θῆλυς ἐέρση: Teocr,
Idyll., IV, 16: μὴ πρῶκας σιτίζεται, ὥσπερ ὁ τέττιξ;
78. Questo
verso è ripetuto in Aen., 1, 609. Riguardo a queste ripetizioni di interi
versi cfr. la mia nota ad Ecl., III, 47. Per i versi che Virgilio ripete con
qualche mutazione, cfr. la nota a Georg., II, 472. 79. ut Baccho
Cererique. Cfr. la nota sopra ai vv. 74, 75. 80. damnabis tu quo-
que votis, letteralmente « tu costringerai gli agricoltori a compiere i loro
voti », vale a dire « tu ne esaudirai i voti come un loro dio ». Del resto
damnari voti o votis è formola solenne. Cfr. Corn. Nep., Timol., 5, 3:
dixit nunc demum se voti esse damnatum; inoltre leggi voti in Liv.,
V, 25. 4; VII, 28, 4; X, 37, 16. In Liv., XXVII, 45, 8 si legge votorum.
Altrove Virgilio, Aen., V, 237, usa, collo stesso significato di damnatus
voli, l'espressione voti reus.

-

-

81. reddam, congiunt. dubitativo. Cfr. Oraz., Od., I, 2, 25 seg.:
quem vocet divum populus ruentis | imperi rebus? Altri esempi tro-
verai in Dräger, Hist. Synt., 12, p. 307.
82. venientis... Austri
flare incipientis. Cfr. Aen., X, 99: venturos... ventos; Ovid., Met., VII, 837
ed Art. am., III, 698: aura, veni. Nel medesimo significato trovi Aen., III,
481: surgentis... Austros e Oraz., Od., III, 27, 22: orientis Austri.
sibilus. In simil guisa Lucrez., V, 1380: zephyri... sibila. 83, 84. Cfr.
Teocr., Idyll., I, 7 seg.: ἅδιον, ὦ ποιμάν, τὸ τεὸν μέλος, ἢ τὸ κατα-
χὲς | τῆν ̓ ἀπὸ τὰς πέτρας καταλείβεται ὑψόθεν ὕδωρ.

MENALCAS.

Hac te nos fragili donabimus ante cicuta.

haec nos Formosum Corydon ardebat Alexim »,
haec eadem docuit « cuium pecus?» an Meliboei? ».

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At tu sume pedum, quod, me cum saepe rogaret,
non tulit Antigenes et erat tunc dignus amari -
formosum paribus nodis atque aere, Menalca.

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85

90

85. ante è qui avverbio. Intendi ante quam mihi reddas dona. Cfr. v. 81. cicuta = fistula. Cfr. la nota ad Ecl., 11, 36 seg. 86, 87. haec nos... haec eadem docuit ecc. Letteralmente: « questa sampogna m'insegnò ossia m'inspirò quei canti che cominciano rispettivamente con Formosum ecc. e con Cuium pecus?». In altri termini: « al suono di questa sampogna ho modulato ecc. ». Si allude alle Ecloghe II e III.

88. at. Cfr. Hand., Tursell., I, p. 420: « in rebus opponendis... significat ex altera parte, e contraria parte, quod Graeci dicunt dé. Ita proprie componitur cum personarum nominibus et cum pronominibus personalibus at ille, at tu, at ego »>. pedum. Cfr. Fest., p. 249 M.: Pedam est quidem baculum incurvum, quo pastores utuntur ad comprehendendas oves, aut capras, a pedibus. La stessa spiegazione danno Servio e gli Scolii Veronesi (p. 72, ediz. Keil.) e Bernesi. Cotale vincastro è anche da' poeti e dagli artisti attribuito a divinità pastorali, come Pane, i Fauni, i Satiri ecc. cum ha qui valore concessivo. 89. tulit = obtinuit, consecutus est e sim. Cfr. Plaut., Merc., II, 3, 106: quod posces, feres; Ter., Eun., V. 8, 27: id optatum feres; Oraz., Sat., II, 1, 11 seg.: multa laborum praemia laturus, ecc. et. Cfr. Hand, Tursell., II, p. 496: « coniunguntur etiam ea per et, quorum alterum, etiamsi contrarium sit, tamen una cum altero coniunctum reperitur. Quae ratio ita explicari potest, quasi et ponatur pro et tamen, et contra, vel inversa oratione, quamquam, etsi »>. dignus amari. Vedi la nota sopra Antigenes, nome di pastore. 90. formosum, di bella forma. paribus nodis, intendi: pari et aequali tumore nodorum (Servio). aere. Il vincastro era munito di qualche guarnimento di bronzo che lo rendeva più saldo ed elegante ad un tempo. Cfr. Teocr., Idyll., XVII, 31, ove dice della mazza di Ercole: σιδάρειον σκύταλον, κεχαραγμένον ὄζοις.

al v. 54.

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