Billeder på siden
PDF
ePub

A questo s'aggiunse un altro ostacolo, che fece dal tutto tramontare il tentativo.

Alfonso II desiderava assai che Alessandro, fratello di Cesare, fosse fatto cardinale, perchè così la Casa d'Este avrebbe avuti maggiori appoggi a Roma; il Papa invece, malgrado tutte le preghiere di Filippo, non volle accondiscendere: « Altri principi, aveva risposto, mi hanno raccomandato loro parenti, ma in questo non consulto che Dio » (1).

Si sparse invece la voce, forse per opera dei partigiani della casa Medici, che Filippo, anzichè perorare per la causa di Alessandro, avesse ottenuto dal Papa la promessa del cappello per uno dei suoi figli.

Non ci volle altro, perchè Alfonso, credendosi offeso e tradito dal suo parente, cambiasse in un sordo e deciso malanimo l'affetto che aveva per lui e si volgesse invece (forse a ciò eccitato dai partigiani Medicei), a Cesare, al quale pensò seco stesso fin dal maggio del 1591 di far devolvere la successione ducale; tanto è vero che, sparsasi la voce che Filippo avesse la probabilità di ottenere il cappello cardinalizio, il Duca gli scrisse che l'avrebbe volentieri appoggiato.

Contro il parere di una Congregazione di tredici Cardinali e della Ruota il Papa aveva frattanto deciso, che il caso di don Alfonso non era compreso nella Bolla di Pio V, e che egli poteva per ragione d'evidente utilità o necessità concedere in feudo i beni della Chiesa; aveva perciò ordinato che venisse stesa la nuova Bolla d'investitura.

Ma Alfonso non si mostrò soddisfatto delle buone disposizioni del Papa in suo favore; egli, che aveva già mutati i suoi sentimenti verso Filippo, voleva che l'investitura fosse stesa solamente pro persona nominanda da lui quando gli piacesse, e aveva dichiarato che non gli sembrava sufficente tutela dei suoi diritti, contro le disposizioni della Bolla Piana, un semplice motu proprio, non approvato e sottoscritto da tutti i Cardinali (2).

reva dei miei emuli Iddio li perdoni, viverò come fin qui ho fatto da cavaliere, malgrado continuino ad insidiarmi ». Lettera di Filippo del 27 marzo 1591. Arthivio di Stato in Modena. Cfr. COTTAFAVI, op. cit.

(1) Lettera di Filippo del 30 gennaio. Arch. di Stato di Modena.

(2) Chi si oppose più degli altri ai desideri del Duca ed all'intenzione del Papa ii cardinale di S. Severina. < Venuto il Duca di Ferrara in Roma per l'investitara, della quale pretendeva che li fosse stata data bona intentione, vi furono di olti garbugli, et havendom'io opposto gagliardamente nelli pubblici e privati raggionamenti et in concistoro, mi persi a fatto la gratia del Papa con provocarmi il slegno del card. Sfondrato, qual andava sparlando per Roma, ch' io sentiva mala

E non si apponeva al falso, poichè Innocenzo IX, assunto poco dopo al soglio pontificio, rivocò la dichiarazione di Gregorio XIV.

Dice il Frizzi (1) che Alfonso dopo il tentativo del 1591, sapendo che la Corte Pontificia era risolutamente avversa ad una politica di ravvicinamento con la Casa d'Este, dimise il pensiero di ottenere la rinnovazione dell'investitura, e si dette tutto ai piaceri.

Questo non è esatto; egli non abbandonò mai l'idea di un accordo con la Curia; anzi gli parve giunto il momento a ciò opportuno, quando fu assunto al pontificato Clemente VIII.

Silvestro Aldobrandini infatti, coinvolto nel partito contrario ai Medici e costretto perciò ad esulare dalla patria, aveva trovato onorevole rifugio e vantaggioso appoggio per sè e per la sua famiglia alla Corte di Ferrara. Il figlio di lui quindi, elevato all'onor della tiara, non avrebbe dovuto dimenticare gli anni della fanciullezza passati nell'esilio sotto la protezione di Casa d'Este.

Alfonso però s'ingannava; perchè al di sopra delle persone esisteva un principio, una specie di tradizione, che passava di pontefice in pontefice, ed imponeva quasi l'obbligo di avocare Ferrara alla Chiesa, appena se ne fosse presentata l'occasione.

Clemente VIII, appena assunto al papato, aveva notificato in concistoro, a quanto scrive l'ambasciatore veneto Giovanni Moro in un suo dispaccio del 15 febbraio 1592, che la Chiesa avrebbe avuto in lui ecclesiasticae jurisdictionis observatorem acerrimum (2).

Suo intento principale era quello di serbare ed accrescere l'autorità teocratica; applicare le massime del diritto canonico quali norme universali dell'equità e della politica internazionale; dilatare il potere temporale sulle provincie, che la Corte di Roma giudicava di propria ragione e possesso o per diritto, o per fatto, o per tradizione inveterata e non interrotta, o per atti compiuti di infeudazione e di investitura.

mente dell'autorità del Papa, com' anco havea imputato il Card. di Camerino, che si mostrava molto ardente in servitio della Sede Apostolica. Partendosi il Duca da Roma senz' haver fatto effetto alcuno, da quel tempo in poi mi si mostrò sempre nemico, dicendo ch'io era stato cagione precipua ch'egli non havesse ottenuta l'investitura di Ferrara « pro persona nominanda e ch'io, com'antico suo amico, dovea parlare più mitamente senza intraprendere l'impresa con tanta ardentia, come s'io fossi più obbligato a gl'huomini ch'a Dio et alla sua Chiesa ». G. CUGNONI, Vita del cardinale Giulio Antonio Santori detto il cardinale di S. Severina composta e scritta da lui medesimo. Arch. della Soc. Rom. di St. Pat., vol. XII, fasc. I e II, 1890, pag. 199 e segg.

(1) FRIZZI, op. cit., passim.

(2) A. Rossi, Di una controversia fra la Repubblica Veneta e Clemente VIII. Arch. Ven., N. S., 74, 1889, XIX, pag. 259.

Con tali intendimenti è facile capire come in lui non potessero esercitare influenza di sorta riguardi personali, ricordi amichevoli o deferenze verso chiunque; anzi quanto più si tentava il suo animo. per indurlo a cedere, tanto più egli si sentiva in dovere di resistere, perchè gli pareva che la concessione, che a lui si domandava, e il sacrificio, che col suo mezzo si chiedeva alla Chiesa, fossero tanto maggiori quanto più tenaci le insistenze per conseguirli.

Cosi tutte le persone messe in moto, come ad esempio il duca d'Urbino e Anastasio Germonio nel 1595 (1) e l'ambasciatore Rizzo nel 1596, e tutte le scritture allegate in sostegno dei diritti di Casa d'Este sopra Ferrara contribuirono a rinsaldarlo nella sua primitiva opinione.

<< Noi sapiamo, aveva egli detto al Co. Giglioli, ambasciatore di Alfonso, che è questo, ma vi esortiamo a non parlarne per adesso per che non lo potemo fare, nè lo vogliamo fare per che siamo, essendo cardinale, stato di contrario parere quando siamo stati papa habbiamo confermato la Bolla di Pio V, di Gregorio XIV e d'Innocentio IX con haverli anco giunto delle clausole pregnanti, et in evidentem ecclesiae utilitatem, che non si possano reinfeudare, si che potrebbe aspettare un altro Pontificato, che potrà

(1) La copia della lettera del Sig. Duca di Ferrara l'ho ricevuta con la di V. A. Ser. del primo stante, et è stata molto al proposito; perchè sin adesso non haveva inteso che detto sig. duca havesse così ampla facultà di nominare per primo successore et mutarlo a piacer suo. Il che quando mi occorresse di parlarne a qualche buon proposito io mostrarei di non haverlo saputo da V. A. come prudentamente e benignamente mi commanda. E con quest'occasione non lascierò di dirle che essendo a pranzo col Sig. duca di San Giovanni, cognato del sig. cardinale Terranova; e parlando di quest'amplatione d'investitura mi disse detto duca come dando parte di essa investitura a questi signori ill.mi che facevano i ministri del sig. duca di Ferrara grand'offici, acciò quando fosse di nuovo fatta instanza per l'investitura di Ferrara a questa Santa Sede, che fossero contenti di favorire et ch'egli si era ritrovato dal sig. cardinale Marc'Antonio Colonna, quando li faceva tal ufficio; e che esso cardinale haveva promesso di coadiuvare in tutto quello, che egli mai haresse potuto. Ma essendosi anco ritrovato dal sig. cardinale di Como poco dopo, che da S. S. ill.ma era riuscito il conte Girolo; le disse detto cardinale, non sa V. S. the io hora ero pregato di favorire il tale negotio, io gli ho detto liberamente di non volerlo fare per che non è cosa fattibile: nè mi sono curato delle sue bravure on dire che havendo Modena et Reggio, sarà cosa difficile, che la Sede Apostolica habbi mai Ferrara; tanto più che le spese fatte a beneficio e conservatione di essa citta importano assai di quello che ella vale. A che rispose, sia come si voglia, la Sede Apostolica haverà sempre le ragioni sue e vive. Ho però inteso da altra parte, che alcuni altri ci inclinano e dicono che quest'è ottima congiuntura, e che il Papa le doveria fare, prima con mandar in Germania esso sig. Duca di Ferrara, fare th'egli stesso riscatasse molte entrate della Sede Apostolica quali stanno impegnate, et avessero il canone. E se bene per adesso l'ho per attione molto difficile et potrà però un giorno esservi Papa tale che si contenterà; onde si può sperare sempre bene. Cfr. Lettere di Anastasio Germonio arcivescovo di Tarantasia pubblicate da FELICE COMINO. Lettera III: All'Altezza del Ser. sig. Duca d'Urbino, « Miscel lanea di Storia Ital. », tomo X, pag. 712 e segg. 7 gennaio 1595.

esser tal Papa che si farà lecito di poterlo fare, che noi de nuovo vi diciamo che non vogliamo fare ne lo potiamo fare » (1).

Non restava quindi altro a sperare se non che la domanda del Duca fosse portata in Congregazione di Cardinali, poichè, com'ebbe a scrivere in altra sua lettera il Germonio, « è opinione di qualche cardinale che se si mette in negotio possi finalmente S. S.tà condescendere a concederla, perchè mi ha detto a me un cardinale se il Papa si mette a giocare alla lotta, resterà di sotto, non ostante che habbi detto liberamente di non volerlo fare; et argomenta dalle cose passate alle future dal trattato di Francia a questo presente, perchè in questo, come V. A. si deve raccordare, disse in pieno concistoro che più presto voleva assere marterizzato che condescender alla benedittione di Navarra, con tutto ciò si è veduto l'esito contrario . . » (2).

Ma Clemente VIII, per avere il maggior numero di voti nel Sacro Collegio, aveva attratti a sè i Cardinali favorevoli a Casa d'Este, quali ad esempio il Lancellotto, il Toledo e qualche altro (3); e così la speranza di un componimento pacifico andò allora perduta, lasciando invece col mezzo di tanto insistenti domande chiarire e publicare al mondo le buone ragioni che haveva la Chiesa sopra quel feudo (4).

Però Alfonso non aveva ancora perduta ogni speranza; anzi nel 1597 avea fatto sapere al Papa, che si sarebbe offerto d'andare in Ungheria con buon nerbo di truppe per combattere i Turchi, purchè gli venisse concessa la grazia che domandava.

Ma il Giglioli, residente a Roma, gli avea fatto sapere che Clemente VIII gli avrebbe bensi impartita la benedizione, ma non mai l'investitura; anzi lo stesso Pontefice s'era fatto intendere, che non avrebbe presi denari dal Castello per la guerra contro gli Infedeli, perchè voleva tenerli per ogni eventualità per Ferrara, e non avrebbe fatto cardinale Alessandro, fratello di Cesare, perchè questa sarebbe stata come un'implícita concessione ad Alfonso dell' investitura di Ferrara (5).

(1) Cfr. Lettera di Anastasio Germonio arcivescovo di Tarantasia pubblicata da FELICE COMINO: All' Altezza del Ser. sig. Duca d'Urbino. n. XXXIII. Di Roma il 6 Marzo 1596. Miscell. di Stor. Ital., vol. X, pag. 765.

(2) Lett. di A. Germonio, n. XXXIV. Di Roma li 9 di Luglio 1596. (3) Cit. Lett. del Germonio, n. XXXIV.

(4) Historia della ricuperatione di Ferrara nel Pontificato di P. P. Clemente VIII l'anno del Signore MDXCVIII. Ms. dell'Arch. Barberini. Cod. LIV. 85. (5) Lettere del Co. Girolamo Giglioli al Duca Alfonso II, 1° e 11 Gennaio 1597. Arch. di Stato in Modena, ms.-corrispondenza di ambasciatori p. l'anno 1597.

Questi aveva anche fatto delle invenzioni militari e spedito a Madrid il suo ambasciatore Giulio Ottonelli per proporne la cessione al Papa ed all'Imperatore, perchè se ne servissero contro il Turco.

Aveva fatto loro notare come coi suoi archibugi e moschetti, che si potevano usare per terra e per mare, facendo così una doppia strage dei nemici, si sarebbe potuto ammazzare o far prigioniero il re di Francia, che era costretto a trovarsi sempre presente in tutti i fatti d'armi (1).

Chiedeva il Duca, come meritato compenso, la rinnovazione dell'investitura di Ferrara. Anche questa volta però la Corte Romana oppose un reciso rifiuto.

Fino dal 1591, dopo la fallita missione a Roma del marchese Filippo d'Este, Alfonso aveva rivolto l'animo a Cesare come al parente di sua famiglia, cui intendeva far ricadere l'eredità estense; ma però egli non volle far conoscere ad alcuno la nuova decisione presa, per timore che i sudditi si rivolgessero all'astro nascente e venisse quindi diminuita quella grande autorità, ch'egli voleva possedere incontestata nel suo piccolo regno.

Quando chiese all'imperatore Rodolfo II la rinvestitura di Modena, Reggio ed altri feudi imperiali, a seconda degli antichi patti, lo pregò di lasciargli tempo per decidersi sulla scelta del successore; e, quando fu costretto a farla, condusse le pratiche con ogni segretezza; mandò un autografo all'Imperatore, supplicandolo a far si che nulla trapelasse dell'affare, nemmeno all'ambasciatore di Ferrara residente a Vienna, e di esprimere la sua approvazione col rinvio della stessa sua lettera rivestita della segnatura imperiale.

La persona nominata con tanta segretezza era Cesare; eppure, mentre fin dal 1594 lo aveva ammesso ai segreti di gabinetto e nel testamento, scritto nel 17 luglio 1595, lo aveva nominato suo erede aniversale, bastò che in Ferrara si cominciasse a corteggiarlo più dell'usato perchè gli intimasse di comparire in forma più dimessa, ne pigliasse seco in pubblico più di tre gentiluomini, da lui stesso designati.

E fu questo un errore grave del Duca e una causa non ultima dell'ignobile caduta di Ferrara nelle mani del Papa; poichè Cesare non potè esser iniziato, quand'era necessario, negli affari dello

(1) Lettera di Giulio Ottonelli, ambasciatore a Madrid, al Duca Alfonso II del 10 Maggio 1597. Arch. di Stato in Modena, ms.-corrispondenza di ambasciatori sotto l'anno 1597.

« ForrigeFortsæt »