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mento (1). Vi sono, è vero, certi momenti di languore, nei

(1) Egli è perciò, dice Fuesslin (Lettere sul dipingere Paesetti), che un pensiero concepito nel primo fuoco, deve anche nel primo fuoco disegnarsi, e descriversi alla meglio. Quell'entusiasmo allora necessario a tutti gli artisti, fa si che essi si dimentichino del proprio stato, escano fuori di se, si collochino in mezzo di quelle cose che vogliono rappresentare fino a tanto che si sentano commossi, trasportati, colpiti, spaventati, e cantino e dipingano come ispirati da un nume. Allora ne nasce quella felice distrazione che rende l'artefice non più padrone di se medesimo. Così avviene degli improvvisatori quando si sviluppa in loro quell'interno fuoco che gli predomina. Essi in quel momento non hanno a fare altro che determinarlo verso un proposto soggetto, come fa un piloto ad una nave trasportata da un vento impetuoso. Il celebre pittore Vernet trovandosi sopra di un naviglio, che era con violenza agitato da una burrasca, si fece mettere vicino all'albero, e tutto intento a disegnare il moto dell'onde, i loro rovesciamenti, la spuma, il fuoco del fulmine che a raddoppiate strisce spezzava le nubi, esclamava ad ogni istante: Ah! come è bello " mentre che intorno a lui tutti tremavano nel periglio che scorgevasi. Rapporta a tal proposito Plutarco, che il tragico latino Esopo rappresentando nel teatro di Roma il personaggio d'Atreo, che consulta sopra il supplizio di Tieste, interessandosi talmente dell' azione, fuori di se per la collera, e nel trasporto dell'ira sua percosse ed uccise collo scettro che avea in mano uno dei suoi ministri. Tale è la vera preoccupazione dello spirito. Da questa profonda illusione sortono quei gran pensieri, quei moti straordinarj, (ma più che naturali) quei tratti inauditi e sublimi, quei prodigj infine del genio inventore che ci rapisce e ci trasporta. Vuole perciò Cicerone che il suo oratore sia come una veemente procella, come un rapido torrente che rovini ed abbatta ogni cosa colla sua furia. « Vehemens ut procella, excitatus ut torrens. »

quali il genio sembra spossato. Egli è allora necessario o di attendere che si accenda il fuoco dell'immaginazione, o di ricorrere a certi deliziosi studj per risvegliarlo. Il solo soffio del genio è quello che dà alle arti i colori della natura; egli solo apporta loro vita e fecondità.

Le sole regole quindi, i soli precetti, bastanti non sono a rendere un'opera perfetta, vi abbisogna l'entusiasmo che crei e che modifichi gli oggetti. Un maestro di Cappella col semplice meccanismo dell'arte sua, con tutte le leggi matematiche, con la guida la più esatta del contrappunto, ma privo di estro e di fuoco, non farà che meschinissime composizioni, le quali altro non conterranno che un suono barbaro, ingrato e dispiacevole.

Tutti quelli che avranno avuto in dono dalla natura un cuor tenero e sensibile, dovranno al certo maneggiare queste arti con maggior vaghezza e maggior perfezione; giacchè la sola sensibilità, la più vasta e la più nobile insieme di tutte le nostre facoltà, è quella che muove facilmente l'estro presentando gli oggetti alla nostra mente con tutta la possibile energia, e ci fa soffrire con più forza e con più vivezza lo stimolo delle passioni. Chi è mai che fa discernere al poeta ed all'oratore espressioni e concetti che eccitano sentimenti animati e piacevoli? Chi è mai che ha insegnato le prime regole della proporzione e del disegno? Chi è finalmente che ha inventato i principj dell'armonia ed ha portato la musica ad un tal raffinamento in cui la vediamo? Non altro al certo che la nostra interna e delicata sensibilità.

Gli antichi filosofi crederono che l'estro, l'entusiasmo, il furore fossero qualche cosa di divino e qualche dono gratuito del cielo (1). Platone asseri la sua divinità, pro

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(1) Batteux osserva la differenza che passa tra gli autori de' sacri cantici ed i poeti profani. In questi, dice egli, non è altro che l'uomo che scrive e che lavora: si scuo

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prono i suoi sforzi ed in conseguenza la sua debolezza, Belle Arti.

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vando che i poeti invasi da questo entusiasmo sogliono

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si scuoprono i suoi vizi, i suoi pregiudizj, la sua ignoranza e la sua educazione. In quelli all'opposto soffia lo spirito di Dio; tutto è ripieno, libero, luminoso ed impresso dal conio di colui che scherzava formando l'universo. Per quan" to grande sia l'uomo profano che scrive, altro non ha che • una scintilla di quel fuoco che infiammava i profeti. Ora• zio e Pindaro erano ispirati dalla natura, dalla quale rubavano alcuni felici tratti; ma Davidde e Mosè erano ispirati dall' Autore medesimo della natura, da quello che ha solamente in se i primi modelli delle vere bellezze.

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Ma con tutto il rispetto che deesi al sig. Batteux, io voglio aggiungervi ancora che ciò credo nato dal fondo medesi mo del soggetto; e che alla materia grande e sublime, trattata dai profeti, son essi per una gran parte debitori della loro energica sublimità. Lo spettatore inglese parlando dell'eloquenza di S. Paolo, superiore a quella di Grecia e di Roma, ci dice: Io confesso che non so ascrivere ad altro questa eccellenza, se non alla forza della dottrina, che egli spiegava, e che aver potea la stessa influenza su gli ascoltan« ti..... Tullio ne' suoi discorsi filosofici quando vien portato dall' argomento a ragionare dell' immortalità dell' anima, « sembra allora come uno svegliato dal sonno; musso e spa"ventato dall' eccellenza del suo soggetto, elarga la sua immaginazione per comprendere qualche cosa di straordinario, e colla grandezza dei suoi pensieri gitta luminosi trat«ti di sublimità prodotti dal suo sentimento. » Si è ancora osservato che gli stessi filosofi e poeti gentili, parlando di Dio e della creazione, si sono quasi serviti delle stesse espressioni de'profeti. Platone parla cosi dell'Onnipotente: « L'Ente Supremo gitta sguardi di compiacenza sopra l'opera sua.. Mosè avea detto: Viditque Deus cuncta quae fecerat, et erant valde bona. » L'Essere Eterno, diceva Platone, accese il sole e lo gettò scherzando nelle vaste solitudini dell'a

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cantar cose che non hanno giammai imparato (1). Il suo discepolo, l'immortale Aristotile, asserisce lo stesso in molti luoghi della sua poetica (2). Democrito diceva, che i soli

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ria; idea maravigliosa e sublime che annunzia la creazione di quel pianeta come un giuoco del suo braccio divino. Mosè ancora parlando del sole e della luna si esprime così: « Et posuit ea in firmamento coeli, ut lucerent super terram. Plutarco in fine ci riferisce che in un tempio di Egitto eravi la seguente iscrizione:« Io sono tutto ciò che fu, è e sarà; verun mortale non ha mai alzato il velo che mi ri" copre " espressioni che si riscontrano in più luoghi della Bibbia. Per questa somiglianza d'idee, conchiuse infatti Origene. Platonem vel a Judaeis quaedam audivisse, vel in Prophetarum libris legisse.» Lo stesso avea detto ancora prima di lui Flavio Giuseppe; e S. Ambrogio vi aggiunse: Nostra sunt itaque quae in philosophorum literis praestant. »

La brevità di una nota altro non mi permette che di rapportare questo semplice tratto cavato da Virgilio, e degno dello stesso Isaia; « parla il Dio, arbitro dell'universo, « tacciono allora tutti gli spiriti, trema la terra, un profondo silenzio domina nelle regioni dell' aria, i venti sospendono il loro fiato, ed il mare calma i suoi flutti. Eo dicente, Deum domus alta silescit,

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« Et tremefacta solo tellus, silet arduus aether:
Tum Zephyri posuere praemit płacida aequora
(pontus.

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(1) Lombardi nella prefazione alla poetica di Aristotile, dice così. Auguria, somnia, vaticinia, fuere quondam, et nunc apud aliquos maxima sunt in existimatione: neque his caret poesis, physionomica etiam in poesi.

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(2) Ingenii furore perciti etc. Rapporta egli a questo proposito che il siracusano Maraco ristabilitosi dalla pazzia

furiosi vengono ammessi in Elicona (1), ed Orazio finalmente chiama quest'estro amabile Pazzia (2).

divenne gran poeta, che prima non lo era affatto, e sorpassò tutti quelli della sua età. In tempi a noi più vicini si racconta da Hannemanno (presso Muratori, forza della Fantasia) che nel 1684 una dama tedesca nel delirio di una febbre maligna cantava con una dolcezza ed una soavità inaudita, componeva ancora delle maravigliose canzoni senza che le avesse apprese, e che si trovassero scritte per l'innanzi. Lo stesso autore ei rapporta quest' altro esempio cavato dalle efemeridi dell'accademia Leopoldina de'Curiosi di Germania, accaduto nel 1712: una fanciulla epilettica di quindici anni, ignorante e soggetta a molti sintomi, componeva all'improvviso versi non dispregevoli, parlava ebraico, greco, latino, francese, ed altre lingue. io nol credo, e resta però ognuno nell'ampia facoltà di creder ciò che più gli piace. Anche gli antichi storici ci dissero di aver fatto Alberto Magno una testa di legno che per le interne macchine parlava e pronunziava distintamente le parole; eppure, i critici i più illuminati, non ne fecero conto alcuno.

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(1) « ... Excludit sanos Helicone poetas.» (apud Horat.) (2) Amabilis insania. Osserva Seneca, che nei grandi ingegni vi è sempre qualche mescolanza di pazzia, poichè le tante vive e numerose immagini che si presentano alla nostra fantasia e la loro distinta successione, che nasce dall'accresciuto moto o dalla quantità del sangue, fa sì che dall'impeto troppo grande si produca il delirio, il quale non è altro, che una immaginazione confusa e soverchiamente forte e veloce, come si osserva nelle febbri ardenti, e nei primi gradi dell'ubbriachezza. Aristotile, per quanto ci assicura Seneca, dicea: "Nullum magnum ingenium sine mistura deInsegna però Orazio a star bene in guardia, affinchè l'estro non giunga mai a turbare ne' suoi tra

mentiae fuit.

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