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no i loro caratteri si nelle parole che nella faccia. Le passioni della collera, della pietà e dell' amore non essendo fra loro somiglianti, devono perciò avere differenti caratteri L'azione, per esempio, di Andromaca dovrà esser diversa da quella di Pirro e quella di Pirro differente da quella di Ulisse (1). Rinchiuse Le Brun nell'immagine di Alessandro la sua anima vivace; ma in quella della moglie e delle figliuole di Dario, il loro dolore. Per quest'azione, io dico,

che non deve nelle tombe impiegare l'architettura marmi di colore allegro e vivace, quali si convengono agli archi trionfali, alle fontane ed ai teatri. L'architettura financo bisogna che qualche volta sappia imbruttirsi. Le prigioni civili, per esempio, devono mostrare la melanconia; e le criminali tutto l'orrore. Tali edifizi, che annunziano i disordini di chi si rende indegno di godere i vantaggi della società, devono ispirare un tale terrore sia colle loro sculture, sia colle loro iscrizioni, o sia coi loro ributtanti ingressi, quanto sia capace di frenare almeno in parte i delitti.

Il popolo di Atene, il più illuminato ed il più sagace della terra, aveva un carcere distinto per le pene, diverso da quello che era destinato alla custodia de' supposti rei; cioè divideva un uomo accusato di un delitto da quello convinto e provato di averlo commesso. Stabilimento maraviglioso, per non far perdere al primo il diritto della pubblica opinione! (Filang. Scienza della Legis.)

(1) Similmente la musica, che deve esprimere l'estreme voci dell' innocente Ifigenia, che sta per essere sacrificata a Diana, o le lacrime della tradita Arianna, non potrà usare le stesse modulazioni quando vorrà spiegare i furori di Oreste o le smanie di Alcide, abbandonati alla loro disperazione; giacchè per il primo caso deve servirsi di motivi teneri e patetici, e pel secondo di espressioni di rabbia e di fu

rore.

per questo patetico ci richiamò a forza le lacrime, facendoci tanti amabili pantomimi (1).

Iddio però, gli angeli e tutti gli spiriti puri ed impassibili, nulla possono avere di patetico. Se s' introdurranno questi enti in un poema o in un quadro, non devono niente avere di passione, cioè non è permesso di dar loro i nostri vizi e le nostre affezioni. Egli è perciò assai difficile l'osservare con decenza un meraviglioso, che non è accordato di alterare. Il S. Michele di Raffaello è l'esempio di quello ch' io dico. Atterra egli il dragone, ma con una fronte tranquilla, e la serenità di quel volto è il modello di ciò che deesi praticare con questa specie di personaggi (2). Sarebbe strano, assurdo e scandaloso il dipingere quell'ente

(1) Ogni agitazione ci risveglia nell' anima un movimento naturale, seguito da una esclamazione. Ogni animale ferito e che patisce, mettesi tosto a gridare, come se la natura gli facesse domandare un ajuto ed un soccorso. La musica, la poesia e l'eloquenza possono benissimo usare il linguaggio che lo esprima. La pittura e la scultura a forza di colori e di mosse devono fare altrettanto per giungere alla perfezione, che loro si compete, lo che è più difficile di quello si possa ideare da tutti coloro, che non sono dell'arte rispettiva.

(2) Sull' esempio di Raffaello, il molto celebre scultore siciliano Alberto Tipa, nato in Luglio 1732, fece un gruppo sano di avorio rappresentante S. Michele, che scaccia i demonj, e lo scolpi con una celeste tranquillità. Questo bellissimo pezzo, modello di squisita ed ammirabile delicatezza, che addimostra la perizia e perfezione dell' elegante artista, fu da'suoi eredi presentato in dono all'augusto monarca delle due Sicilie Ferdinando I, che, conoscitore illuminato e rimuneratore splendido della virtù e dei talenti, in attestato del suo real gradimento, lor conferi molti onori, accompagnati da vitalizie pensioni.

pieno d'ira e di furore, e farlo lottare coll'angelo delle tenebre che ardirebbe di meditare la rovina di lui (1). I demonj all'opposto sono suscettibili di passioni, ma senza alcun misto di bellezza e di virtù. Il furore, la malizia, il delitto sono i colori che si competono alle loro atroci passioni.

Un empio però, un malvagio, per infelice che sia, non è affatto capace di sua natura ad ispirarci gran pena, a commoverci, ad interessarci. Il veder Nerone perseguitato dalle furie per aver fatto morire sua madre così crudelmente, non ci desta nè compassione, nè pietà; ma che esse tormentino Oreste per aver ubbidito agli dei, che lo avevano reso involontariamente colpevole, ma non già scellerato, ciò è veramente terribile e degno di compassione (2).

È sempre ancora da osservarsi, che le forti passioni, gli affetti í più violenti non ammettono gran rammarico, ed esigono un profondo sentimento (3).

(1) Milton nel suo VI libro del Paradiso perduto, ci racconta la battaglia e la feral pugna degli angeli coi de monj, e non vi è pezzo alcuno di poesia più ridicola di questa. Michele, Gabriele, Raffaele, Uriele, Abdiele si scagliano contro di Satan, di Arioc, di Ramiel, di Belial, di Ariel, di Moloc, di Mammone e di Belzebu, e li vincono. Michele allora comanda di cantarsi l'osanna all' Altissimo, per la già assicurata vittoria. Ma chi ne potea temere, quando agiva in essi la destra onnipotente? Il poeta inglese volle imitare questa guerra copiando la gigantomachia di Claudiano.

(2) Sebbene questi soggetti ci ispirino dell' orrore, ci istruiscono però meno di quelli, in cui la persona medesima ha dato cagione alla sua sventura. Il domma della fatalità non può gran fatto commoverci.

(3) Perciò disse Seneca Omnis magnitudo doloris modum excedentis vocem ipsam intercludit. » (T. I. de Consol. ad Helviam.)

Belle Arti.

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Un fulmine improviso ci istupidisce. Sant' Evremont loda con ragione il pastorello nell'Aminta del Tasso, il quale alla nuova della morte di Silvia, dice solamente: Oh Silvia tu sei morta! » e sviene. Un altro bellissimo tratto del dolore di Armida quando vedesi abbandonata da Rinaldo, si legge di questo poeta nel decimosesto canto della sua Gerusalemme liberata (1). Didone nell' Eliso nulla risponde alla parlata che le fa Enea (2); e questo silenzio è più bello e più tenero di qualunque siasi patetica e passionata descrizione. Ma in questa stessa silenziosa, e dirò così, istupidita passione (quando però l'eroe non cade moribondo); in quell'eccesso di sensibilità, che confina coll'insensibilità; in quel turbamento e disordine dei sensi e della ragione, quando l'anima più non consulta e non è più padrona di se medesima, si deve dipingere nondimeno la passione a caratteri di fuoco, capaci a portare le più vive scintille sino al fondo dei cuori. Un sospiro ingrato, occhi muti e lineamenti inanimati, non lasciano speranza alcuna che si possa manifestare il terribile di una funesta passione e gli sforzi crudeli di una oltraggiata natura.

E quello che più si trascura dagli oratori è appunto l'azione; quell'azione che Cicerone chiamò eloquenza del corpo, che divise in due parti, cioè nella voce e nel gesto, una delle quali incanta l'orecchio, e l'altra l'occhio (3).

(1) Volea gridar: Dove crudel me sola

(2)

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Lasci? Ma il varco al suon chiuse il dolore «Sì, che tornò la flebile parola

"Più amara indietro a rimbombar sul cuore. » Illa solo fixos oculos aversa tenebat:

"Nec magis incepto vultum sermone movetur,

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Quam si dura silex aut stet Marpesia cautes. • Tandem corripuit sese, atque inimica refugit

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. In nemus umbriferum: »
(3) • Est actio quasi sermo corporis etc.

(Eneid. L. VI.)

(T. III. de

Orat.)

I Greci intenti sempre a moltiplicare i mezzi della seduzione, nulla negligentarono per perfezionare questo primo linguaggio della natura (1), servendosi della doppia strada delle orecchie e degli occhi per giungere fino al cuore. I Romani poi seppero talmente imitarli, che l' oratore Plozio e Nigidio scrissero insuperabilmente intorno al gesto. Ci avvisa infatti Batteux che aveano gli antichi una collezione di precetti che formavano un' arte, che serviva di regola a tutti coloro che doveano parlare in pubblico, tanto in riguardo al gesto, quanto ai tuoni della voce.

Questa credevano essi che fosse la parte più considerabile nell'arte di persuadere e di commovere. Le migliori cose (dicevano essi) senza l'azione altro non sono che un cadavere atto più tosto ad; agghiacciare che a riscaldare l'uditore (2). Interrogato perciò Demostene qual si fosse

(1) Rapporta ancora Ateneo (lib. 19) che erasi così raffinata quest' arte, che Teleste nella rappresentazione dei sette duci sotto Tebe (tragedia di Eschilo) vi pose tanta verità nel suo gestire che la sola azione avria potuto equivalere alle parole.

(2) Malgrado l'eccellenza della composizione, la ricchezza delle figure, l'abbondanza dell'erudizione, la logica la più fina, il gusto il più elegante, il sentimento il più squisito, la dizione la più delicata, i periodi i più chiari, facili, armoniosi e tuttociò insomma, che forma una bella orazione, non potrà mai dirsi buon oratore chi non possiede la parte tanto a lui essenziale di saper declamare, gestire, muaversi, modular la voce e simili, lo ehe appellasi dagl'intendenti azione. Perciò dice S. Agostino non deesì avere a male che uno predichi gli altrui sermoni non avendo egli il talento di comporli, purchè abbia quello di saperti ben dire:

Sunt sane quidam, qui bene pronunciare possunt, quid autem pronuncient, excogitare non possunt. (T. III. de Doct. Christ.)

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