NOTIZIE DI C. VALERIO CATVLLO O ch'egli avesse il prenome di Quin to, come ne parve a Scaligero e a Giovanni Arduino, o di Cajo, secondo il comune consenso e tutte l'edizioni; fu egli veronese per testimonianza d'Ovidio, Plinio Seniore, Marziale, Ausonio; e com' ei stesso accenna nel giambo Peninsularum, e nell'elegia a Manlio, ove egli dice che il suo soggiorno è Roma, e ch'è sol di passaggio a Verona; forse a comporvi i domestici affari dopo la morte del fratello, ch'esso tanto in quell' elegia compiagne. Fu buono nelle lettere greche, siccome mostrano le sue traduzioni delle greche poesie. Gode dell' amicizia de'migliori del suo tempo, come di Cicerone, Cornelio Nipote, Licinio Calvo e simili. Attese agli amori, che gli acquistarono somma gloria per l'eccellente stile in ch'egli ne scrisse, forse meglio che in altro soggetto. Morì piuttosto giovane, con gravissimo danno della romana poesia, che cominciò da allora a scapitar della sua natural purità e delicatezza. Così ci fosse almeno rimasto quanto lo stesso ne scrisse, chè doveva essere assai più di quel che ne va per le mani, lo che da' più luoghi dei suoi versi può intendersi, massimamente ove dice: Multa satis lusi, nel Quod mihi Fortuna, etc. Lo stile di Catullo è all'ultimo punto leggiadro ed elegante; il pensare naturale e vivo; e il numero delicatissimo e perfetto, ma è da pochi il conoscere Catullo; onde v' ha de'pedantuzzi che l'han notato di disordinato nel componimento, e di negletto nel verso essi però non van curati, valendo in commendazion di Catullo, assai più che le loro stitichezze e sofisterie, l'altissima stima ed universale che han di lui i dotti e i buoni amanti della latina poesia; e l'imitarlo ch' egregia mente han fatto i migliori del miglior secolo, come il Cotta, il Bonfadio, il Fracastoro, il Flaminio in parte, e più altri del lor carato; e de' nostri di il Lastesio, il Bassani e i più conti de' latini poeti. C. VALERII CATVLLI POEMATA. I. Cvi dono lepidum novum libellum ? Arida modo pumice expolitum? Jam tum, cum ausus es unus Italorum Quare habe tibi quidquid hoc libelli est. N. B. Avverti che queste Annotazioni sono in latino aggiunte alle troppo succinte del Casta Carmina qui per altro v'è di più, essendomi stata in quelle rac comandata la brevità. (1) Questo Cornelio scritto aveva una Cronaca, ch'è accennata in A. Gellio. Noct. Act., 1. 17, C. 21. (2) Tribus chartis. Scaligero e i due Vossii intendono tre volumi, ma io lo prendo come un numero de terminato per l'indeterminato, a dinotare la concisione dello stile; in tre pagine appena; e certo il tre è l'infimo de' dispari, eccetto l' uno di cui il Toscano dice: É in caffo, e non arriva a tre. (3) Patrona: i più stringati vogliono patrima o patroa, perciocchè Minerva dicesi nata del capo di Giove, senza bisogno di madre. Isacco Vossio vuole che questa Patroa sia Vesta, cui si offriano le primizie di POESIE DI C. VALERIO CATVLLO I. (a) Dedica queste due Poesie a Cornelio Nipote. Cui dono il lepido nuovo libretto D'arsiccia pomice pur or forbito? Or qual ch' ei siesi, che ch' egli vaglia, (a) Non ho voluto obbligarmi a rima; se non che ho dato a' Faleuciï quella tal inflessione e suono che hanno in latino. (b) Te' coll'e aperto, in atto di porgere cosa ad alсипо vale tieni, prendi; e però lo scrivo apostofrato, come parola non compiuta: ordinariamente si dice to', togli; ma questo non è in crusca, come te'. tutto; ma mi pare più al caso patrona, e più omogenco al senso del Poeta, il quale chiede l' immortalità a Minerva pel suo libriccino, a questo titolo, ch' ella sia tutelare de' Dotti e de' Poeti; lo che va egregiamente; ma non egregiamente quest' altro: O Minerva, accorda l'immortalità al mio libriccino, tu che riconosci per padre e madre insieme il solo Giove; ché non sono termini e sensi di giusto rapporto, o sia correlazione. |